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Michel Petrucciani - Body & Soul











Michael Radford, il regista, tra gli altri de Il postino, ultimo film di Massimo Troisi, grande appassionato della musica e del documentario, decide di cimentarsi in un’operazione già tentata, con sorti alterne, da altri suoi colleghi: rendere cinematograficamente la vita di un musicista. E il suo interesse si concentra su uno dei geni più eccentrici, scostanti, perfino arroganti dei nostri tempi, il pianista Michel Petrucciani. Petrucciani, francese, virtuoso di jazz e musica classica, morto a trentasette anni nel 1999, costituisce per Radford un esempio di genialità che si dicotomizza in due anime, quella jazzistica e quella classica, dando a entrambe, appunto, corpo e anima (soul).
Sfortunato nella nascita, per una osteogenesi imperfetta (la cosiddetta 'Sindrome delle ossa di cristallo') e per conseguente nanismo, Petrucciani seppe superare i suoi handicap, trasferendo tutto il suo essere nel piano e in un’esistenza vissuta con gioia, sempre nel segno del 'cogli l’attimo'. Bambino prodigio, sostenuto dal padre, instancabile viaggiatore e 'assaggiatore' dei sapori della vita, Petrucciani era un individuo ingombrante, difficile da seguire.
Radford tenta l’operazione 'inseguimento' e si affida a materiale di repertorio, interviste ad amici e colleghi, senza mai indicare il nome del testimone, che va intuito, concentrando l’attenzione dello spettatore solo sull’uomo e sull’artista e non sul contorno. Il regista sfrutta le parole dello stesso Petrucciani e la sua musica, naturalmente, per tentare di svelare il mistero di un uomo di eccessi, vampiro della vita, irrefrenabile. Ma il suo ritratto, nonostante il materiale, risulta prevedibile, privo di una qualche verve, girato con linearità scolastica, disarmante: ciò che colpisce lo spettatore è la mancanza di colore e di originalità del regista, che ci regala un film tra i tanti, non memorabile, di cui si può apprezzare la scelta musicale e la capacità di mantenersi lontano dal ritratto agiografico.

La frase:
"Le persone non capiscono che non è necessario essere alti un metro e ottanta per essere umani. Quello che conta è ciò che c’è nella testa e nel corpo. E soprattutto nella propria anima".

a cura di Donata Ferrario

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