Mia moglie per finta
Un chirurgo plastico dongiovanni, una fede al dito, un colpo di fulmine per una bellissima donna, un’aiutante fedele e ironica pronta a soccorrerlo. Lui è Danny, ricco tra i ricchi di Beverly Hills: quando sente la parola "matrimonio" gli viene l’orticaria. L’anello al dito è quello di un matrimonio mai avvenuto che, ha scoperto con suo gran piacere, attira le donne ma lo preserva dall’impegnarsi.
Tutto va bene finché incontra lei, la biondissima e giunonica Palmer, forse la donna dei suoi sogni, ben decisa a conoscere la presunta ex moglie. In aiuto di Danny arriva Katherine, la sua assistente, che si presenta come ex, con tanto di prole... in comune.
Una briciola di novità e di imprevisto: questi ingredienti chiedono gli spettatori che, sempre più spesso, hanno la sensazione di vedere sempre lo stesso film. In questo caso una commedia sentimentale made in USA, che unisce i talenti comici di Adam Sandler e Jennifer Aniston, più un’apparizione, che vale il film, di Nicole Kidman e una modella mozzafiato di nome Brooklyn Decker.
Mia moglie per finta ha un problema: tutto sa di già visto, si prevede scena dopo scena e, quindi, ci si può annoiare. Nonostante il ritmo – che c’è – nonostante la bravura dei protagonisti – su tutti la Aniston – nonostante la location che fa sognare, le Hawaii.
Perché, se è vero che l’happy end in una commedia è scontato, è anche vero che quello che interessa allo spettatore è il "viaggio" per arrivarci, che si compie con i protagonisti prima dei titoli di coda.
Il regista Dennis Dugan si è ispirato a "Fiore di cactus", film del 1969 di Gene Saks, con Ingrid Bergman, Walter Matthau e Goldie Hawn, ma molti sono i riferimenti: tra tutti, "Indiscreto", una pellicola del 1958 diretta da Stanley Donen, che pochi amanti del genere ricorderanno, con Cary Grant e la Bergman: lui si fingeva sposato per evitare di impegnarsi, con una serie di gag ed equivoci più o meno spassosi. Era il trionfo dell’ambiguità, dei doppi sensi e del prendersi in giro: con una leggerezza graffiante, capace di lasciare il segno, e senso della misura e dell’equilibrio, nel rispetto dei tempi comici. Qui il tempo comico si annacqua in due ore e resta solo l’involucro, con una superficialità talora anche grossolana.

La frase: "Me la farei anch’io una famiglia finta per una così!".

Donata Ferrario

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