Medici con l’Africa
"E’ stato un lavoro realizzato in modo rapido e impulsivo, senza nessuna strategia né prima né durante le riprese. L’idea che ho seguito è stata quella di raccontare un mondo che non conoscevo man mano che lo scoprivo, in tempo reale. Il film è la storia di un gruppo di persone che si occupa di portare salute in Africa e del loro modo un po’ speciale di farlo".
Così, il padovano classe 1956 Carlo Mazzacurati, autore di "Vesna va veloce" (1996) e "La lingua del santo" (2000), sintetizza il documentario che, dopo "La passione" (2010) con Silvio Orlando, lo ha portato a staccarsi momentaneamente dal cinema di finzione per concepire un ritratto collettivo al cui interno non solo ciascuna individualità è fondamentale, ma esiste uno spirito comune molto forte che fa convivere tenacia e capacità di sacrificio.
Un ritratto collettivo fotografato dal mai disprezzabile Luca Bigazzi e fatto di tante piccole storie private e persone comuni ma straordinarie, dallo specialista in sanità pubblica Claudio Beltramello al neurologo Rino Scuccato, passando per l’infettivologo Italo Turato e i sacerdoti don Luigi Mazzucato e don Dante Carraro, cardiologo e direttore del Cuamm.
Non a caso, si comincia proprio in compagnia di quest’ultimo, nella sede storica di Medici con l’Africa Cuamm, mentre viene spiegato che essi, da sempre, agiscono insieme alle istituzioni sanitarie africane, gestendo le loro strutture disperse nell’immenso territorio sub-sahariano e, soprattutto, creando percorsi di crescita, anche a livello universitario, in grado di formare sul campo nuove generazioni di medici locali.
E si procede tra entusiasmi, fallimenti, singole esperienze e, perfino, testimonianze di giovani africani formatisi nelle aule della facoltà di medicina supportata dal Cuamm; man mano che Mazzacurati provvede a lasciar emergere le motivazioni per cui si decide di partire per il Continente nero e, spesso, di rimanervi.
Anche se lo fa attraverso un’ora e mezza circa di girato che, unicamente costituito da interviste, non impiega molto tempo a rivelarsi monotono e noioso, tanto da risultare digeribile soltanto per i diretti interessati all’argomento.
La frase:
"Sono molto più contenta in Africa che in Italia".
a cura di Francesco Lomuscio
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