Marigold Hotel
Andando in ordine, la prima con cui facciamo conoscenza è la vedova sul lastrico Evelyn alias Judi Dench ("J. Edgar"), subito seguita dal disincantato Giudice dell’Alta Corte Graham, ovvero Tom Wilkinson ("Il senso di Smilla per la neve"), e dalla litigiosa coppia formata da Douglas e Jean, rispettivamente interpretati da Bill Nighy ("Underworld") e Penelope Wilton ("Match point"). Poi è la volta di Muriel, cui concede anima e corpo Maggie Smith ("Il club delle prime mogli"), che intende sottoporsi a un intervento all’anca, Norman e Madge, in eterna ricerca d’amore e rispettivamente con le fattezze di Ronald Pickup ("Agente 007 - Mai dire mai") e Celia Imrie ("St. Trinian’s").
Sono loro i sette pensionati inglesi che approdano in India nell’elegante ma decadente albergo del titolo, ereditato dal giovane e ingenuo Sonny Kapoor, con il volto di Dev Patel ("The millionaire"), che intende trasformarlo in un hotel di lusso, impegnato anche nella sua tormentata storia sentimentale.
E, su sceneggiatura dell’Ol Parker responsabile di "Imagine me & you" (2005), è dal romanzo "These foolish things" di Deborah Moggach che il regista John Madden – autore di "Shakespeare in love" (1998) e "Il debito" (2010) – parte per raccontare la vicenda di questo simpatico gruppetto di anziani che si trovano dinanzi all’opportunità per reinventare se stessi proprio quando stanno per entrare nel periodo dell’esistenza considerato grigio.
Quindi, mentre i personaggi di Douglas e Jean non vengono sfruttati più di tanto, se alcune uscite di Muriel riescono nell’impresa di strappare risate non sono da meno le situazioni che vedono protagonisti Madge e Norman; quest’ultimo intento a sentirsi sempre giovane, tanto da leggere il Kamasutra, ballare "Le freak" sotto la doccia e cercare di conquistare Carol, incarnata da Diana Hardcastle ("Le seduttrici").
Fino a un risvolto drammatico quale esplosione del sottile velo d’amarezza che aleggia sull’intera operazione, volta a ribadire che non è mai finita e che, anche quando si ha paura delle sconfitte, ciò che conta è alzarsi ogni mattina per fare il proprio meglio.
Operazione tutto sommato gradevole e che, come c’era da aspettarsi, si regge per lo più sulla prova dell’ottimo cast; rischiando soltanto di risultare eccessivamente tirata per le lunghe (siamo oltre le due ore di durata), man mano che incita ad accogliere con gioia i cambiamenti inaspettati della vita. Perché tutto quello che sappiamo del futuro è che sarà diverso e che, forse, ciò di cui abbiamo veramente paura è che rimanga tutto uguale.
La frase:
"Il passato non torna più, non importa quanto lo desideri".
a cura di Francesco Lomuscio
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