Mare Chiuso
Una pertinente contraddizione in termini, il titolo "Mare chiuso", che rispecchia quella del governo di un Paese - il nostro - macchiatosi di uno dei peggiori crimini della sua storia recente: i respingimenti in acque internazionali a seguito del "trattato di amicizia Italia-Libia" siglato nel 2009 dall'allora presidente del consiglio Berlusconi e Gheddafi (senonché, meno di due anni dopo, il primo ha scelto la partecipazione all'intervento armato per deporre il secondo). Grossa parte delle circa duemila persone riportate sulle coste di partenza erano richiedenti asilo. Così, per aver violato la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, all'unanimità la corte di Strasburgo ha condannato l'Italia, la quale non ha ancora ufficialmente abbandonato quel tipo di politica e da allora è tenuta a pagare 15mila euro di risarcimento ad ogni ricorrente.
Con il patrocinio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati e della sezione italiana di Amnesty International, Stefano Liberti e Andrea Segre hanno effettuato le riprese nell'estate del 2011, soprattutto nel settore somalo-etiope-eritreo del campo Shousha dell'UNHCR per i profughi della guerra libica, utilizzando anche i video girati con i telefoni cellulari dai migranti proprio su una delle imbarcazioni bloccate al largo. Sulle dolenti e rispettose musiche originali della Piccola Bottega Baltazar, le vittime raccontano di viaggi della disperazione tra Sahara e Mediterraneo, predoni e razzismo, carcere e torture, sofferenze e spesso morte. Che tormenta, con incubi, i sopravvissuti. E quindi del decisivo incontro con le forze armate italiane (significativamente, i militari compaiono sfocati o di spalle), tradottosi in rifiuto del dialogo, perquisizioni, sequestro dei documenti, insulti, minacce e poi colpi con bastoni, tubi e pistole elettriche, fino alla deportazione a Tripoli con la menzogna. Un documentario di alto valore civile, che fa informazione e restituisce umanità a casi anonimi, centrato su una separazione familiare durata oltre due anni che diventa storia emblematica, dolorosa ma aperta al futuro con un ricongiungimento e una nuova vita.
La frase:
"Invece di tornare in Libia era meglio morire in mare".
a cura di Federico Raponi
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