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Manda Bala
Vincitore come miglior documentario all’ultimo Sundance Festival e selezionato per la sezione Extra alla seconda Festa del cinema di Roma, Manda bala segna l’esordio dietro la macchina da presa di Jason Kochn, per tanti anni allievo del documentarista premio Oscar Errol Morris (Yhe fog of war).
Manda bala, invia un proiettile. Si parla portoghese, al centro della denuncia c’è infatti il Brasile e la sua criminalità. Un Paese cinematograficamente ignorato come soggetto nelle distribuzioni internazionali che trova fama solo quando parla della propria criminalità (si pensi al bel City of God). Nonostante infatti sia uno di cinque paesi Bric, e cioè emergenti, pesante rimane il suo fardello di delinquenza. Un tema che Kohn sviluppa partendo dalla tesi che il piccolo crimine e le grandi speculazioni affaristiche siano direttamente correlate. Un filo doppio che partendo delle enormi disparità sociali vive di così tante cause-effetti che capirne l’inizio o fermarne il processo appare un’impresa da titani. Dalla corruzione politica alla violenza, dal sequestro all’omicidio. L’affondo di Kohn parte dai racconti delle persone, da domande poste a interlocutori che sanno come funzionano “le cose”, per accumulare argomenti e correlazioni. Volendo essere “internazionale”, ma allo stesso tempo lasciare la voce ai protagonisti delle sue interviste e far emergere la cultura (la lingua ne è una parte essenziale) del luogo, la traduzione in inglese non avviene attraverso sottotitoli ma direttamente con interpreti che parlano successivamente, stando seduti accanto agli stessi oratori.
Da un punto di visivo Kohn si preoccupa di adottare un linguaggio cinematografico a tutto tondo. Indugia sugli elementi naturali o sugli animali per simbolizzare i significati, segue i protagonisti senza mai intervenire in prima persona e lascia che gli ambienti diventino vere e proprie location.
Ne esce un film forse non così forte in termini di giornalismo investigativo, molto se non è già conosciuto è comunque sia abbastanza intuibile, ma capace nel suo insieme di dare uno spaccato preciso e articolato di un Paese geopoliticamente importante che non può essere ignorato.
La frase: "Un film che non può essere mostrato in Brasile".
Andrea D’Addio
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