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Mala Tempora
Tre personaggi - un monaco, un eremita, un templare - quali diverse componenti della Chiesa, che nel tredicesimo secolo attraversava una fase complessa, frammentata e confusa (non a caso il Concilio Lateranense IV stabilì il primato papale, invitò gli ordini religiosi ad uniformare le regole, definì eretiche alcune dottrine, istituì il tribunale dell’Inquisizione, decise la quinta crociata).
Aggiungiamoci pure il fanatismo intorno alle spoglie "sante" (i compaesani vogliono uccidere l’eremita per fare dei suoi resti oggetto di culto, mentre il Gran Maestro affida ai templari delle reliquie da trasportare segretamente in Europa), la bramosia trasversale e collettiva verso un misterioso, potente oggetto (chi lo avvicina vede riflessa la propria immagine e ne rimane stregato, per Stefano Amadio il paragone è con lo schermo televisivo) e la violenza diffusa: nei "Mala tempora" del 1200 il cineasta – mosso dal proprio interesse per l’eremitaggio medioevale - annota i suoi paralleli con l’oggi. Aiuto regista teatrale, giornalista, autore di documentari e opere liriche, per il debutto nel lungometraggio di finzione Amadio (che lo ha co-sceneggiato, co-prodotto e diretto) sceglie figure realmete esistite e come ambientazione quella dove effetivamente vissero, mentre il loro incontro è opera di fantasia.
Girato in HD fastidiosamente palese, specialmente negli interni con luce artificiale e nelle scene notturne rischiarate da torce, il film sconta alcune grossolanità formali (tralicci dell’alta tensione sullo sfondo, costruzioni di cemento, un pitone in mano ad una contadina) e qualche pecca di mancati accorgimenti tecnici (costumi troppo nuovi e lindi per un’avventura agrestre, popolare e di viaggio, faretti blu per simulare la luce lunare, la voce "sentita" da uno dei personaggi con un ovattato rimbombo da studio), che si possono anche accetare. Il problema è che all’imponenza dei paesaggi (i monti del Parco del Sirente e del Velino) si contrappone una sostanza gracilissima, nemmeno supportata da un’"estetica della povertà", visto il basso costo.
La frase: "Gerusalemme è un luogo dell’anima, non si prende e non si perde".
Federico Raponi
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