Madri
Sulla locandina, la foto di due mani giunte, tra le cui dita filtra sabbia. Il conflitto arabo-israeliano - né di civiltà, né di religione - è infatti per la terra. Sembra un destino perenne, al quale però qualcuno si oppone cercando il dialogo. Con l'autorevolezza del proprio status, ci prova la ONG Parents Circle (che raccoglie madri di entrambi i fronti, accomunate dalla perdita di figli a causa di questa guerra), "una delle poche, assieme a Combattenti per la Pace, a non essere percepite dal sentire comune - afferma l'autrice del documentario - come "traditrici". Perché il lutto e il dolore sono sacri sia per gli uni che per gli altri".

Barbara Cupisti viene da un differenziato percorso di danzatrice, attrice di teatro e cinema, conduttrice di programmi televisivi culturali, regista di cortometraggi e documentari artistici. Accompagnata soltanto dalla sua organizzatrice, ha girato "Madri" in HVD con parecchi ostacoli: difficoltà negli spostamenti, controlli estenuanti, l'arresto dell'operatore palestinese, tre troupe diverse. Le riprese si muovono tra check point, muro di separazione, enclavi palestinesi e israeliane. Il grosso consiste in interviste alle madri, contornate da scene di quotidianità, filmini amatoriali con momenti familiari, materiale di repertorio (molto del quale finora trasmesso solo da emittenti locali). Attraverso immagini e parole, i defunti tornano a mostrarsi: su un versante chi è morto in operazioni militari, dall'altro chi come attentatore suicida. La maggiorparte invece da innocenti, dilaniati da una bomba umana in pizzeria o perché la loro casa è stata centrata da un missile. E c'è anche chi si è suicidato, non sopportando oltre quanto provato in servizio di leva. Sulle note di una musica quieta, minimale e rispettosa alternata colpi d'arma da fuoco e sirene d'ambulanza, quello di Cupisti è una inevitabile immersione nello strazio, proposizione di un modello e messaggio di speranza.

La frase: "Se noi che abbiamo pagato il prezzo più alto che si possa immaginare possiamo ancora parlare, allora possono farlo tutti".

Federico Raponi

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