L'uomo spezzato
Dopo il convincente Senza Paura, Stefano Calvagna ritorna con una nuova storia, anche stavolta tratta da un fatto di cronaca.
In un liceo romano Stefano Malavasi insegna storia dell'arte. Fra le sue alunne quattordicenni c'è Laura, una provocante ragazzina che sogna di fare la velina che fa di tutto per sembrare già adulta, ma che in realtà nasconde una situazione familiare alle spalle tutt'altro che felice. Più per gioco che per convinzione, si trova a promettere alla sua amica Sara che nel giro di qualche giorno si porterà a letto il professore. Così non è, e per ripicca la giovane accusa l'insegnate di averla molestata…
Seppur i propositi siano alti, ovvero andare a toccare temi sociali e attuali come il disagio giovanile, la disattenzione dei genitori nei confronti dei figli, la potenza e la morbosità dei mass media che travolgono qualsiasi regola e diritto pur di fare audience, l'uomo spezzato rimane un film mediocre. E spiace dirlo, perché come al solito per i film italiani che escono in estate, i mezzi sono stati limitati e la produzione difficoltosa.
Calvagna ci mette del suo però decidendo di auto dirigersi. La sua performance di attore pesa come un macigno sulla realizzazione del film. Ogni primo piano che si concede è una vera e propria sofferenza tanto sono inverosimili le sue espressioni, così come si rimane basiti sia per contenuto che per dizione, ascoltando le battute che ha deciso di mettersi in bocca. Sì, perché Calvagna non solo è attore e regista di L'uomo spezzato, ma anche sceneggiatore. Chiedere un po' d'aiuto talvolta non è sinonimo di debolezza, perché ostinarsi a voler far tutto da solo?
Nonostante la materia del soggetto sia tanta, lo sviluppo della sceneggiatura è disarticolato e pesante. Allo scorrere della storia si accompagna un evolversi interiore dei personaggi giusto accennato e di conseguenza poco credibile. L'epilogo giunge quasi distaccato dal resto del contesto, quasi come se fosse caduto dall'alto, così come non si capisce bene cosa c'entri il passato da teppista del professore, narratoci con un lungo flashback che sembra la parodia degli sketch di Lillo e Greg (comici delle iene) versione arancia meccanica. Il che è tutto dire. E non si può neppure sorvolare su una semplificazione narrativa come la possibilità per i quotidiani di mostrare tra le proprie pagine il volto di un uomo indagato per pedofilia, azione assolutamente vietata dal codice deontologico giornalistico.
E se i riferimenti volevano essere alti (il Mostro di Dusserdolf su tutti), il solo pensiero di un paragone, diventa purtroppo impietoso.
La frase: "Se mi presento con te a casa, mia moglie mi riduce come un personaggio dei quadri di Picasso"
Andrea D'Addio
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