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L'ultimo ultras
"Alla mia seconda vita".
Con questa didascalia apre il lungometraggio attraverso cui il regista romano Stefano Calvagna affronta la sempre più attuale tematica degli ultrà, realmente appartenente al suo passato tanto da averla già accennata ne "L’uomo spezzato", diretto nel 2005 e che vedeva tra i protagonisti la stessa Giulia Elettra Gorietti che qui ritroviamo nel ruolo di Alice, onirica ragazza perennemente impegnata a suonare il violino.
Unica surreale concessione all’interno di una vicenda fortemente legata alla realtà, la quale vede lo stesso Calvagna nei panni di Giovanni, latitante dal giorno in cui uccise accidentalmente un giovane durante uno scontro avvenuto allo stadio e che, vivendo le sue tristi giornate dinanzi alle piccole partite locali e trovandosi di continuo alle prese con fortunate scommesse sportive, finisce per imbattersi in Bruno, incarnato dal vero capo degli ultras rossoneri Giancarlo Lombardi, leader della tifoseria della squadra del posto.
E, proprio quest’ultimo, scoperta la sua vera identità, decide di ricattarlo per estorcergli denaro, mentre l’uomo fa conoscenza con Marina, cassiera dell’ufficio scommesse che, con le fattezze di una Francesca Antonelli in ottima forma, non solo rappresenta insieme alla prostituta Lucrezia e alla sorella Rachele – rispettivamente interpretate da Federica Famea e Rossella Infanti – il contorno femminile, ma fa nascere in lui un desiderio di cambiamento.
Il tutto, immerso nella non disprezzabile colonna sonora per mano del fido Riccardo Della Ragione, con il veterano Mattia Sbragia nella parte del padre del protagonista e l’ex Pallone d’oro del Milan Andriy Shevchenko coinvolto in un’apparizione dal sapore autobiografico.
Fino a un risvolto di sceneggiatura che, seppur decisamente classico, funziona a dovere; anche se una recitazione non sempre convincente e alcuni dialoghi che avrebbero forse necessitato di maggiore attenzione penalizzano in parte il giudizio positivo sull’operazione, nel look generale non troppo distante da una fiction televisiva, ma che, ancora una volta, testimonia attraverso le tanto povere quanto efficaci sequenze di scontro violento la capacità di lavorare con budget ristretti da sempre sfoggiata dall’autore di "Senza paura".
La frase: "Tutto questo non c’entra niente con il calcio".
Francesco Lomuscio
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