C'era una volta a New York
Il regista James Gray ha avuto sempre modo di lavorare con cast importanti; nomi come quelli di Tim Roth, Charlize Theron, Mark Wahlberg, Robert Duvall, Gwyneth Paltrow, oltre al quasi onnipresente Joaquin Phoenix. Questo film non fa eccezione ed insieme a Phoenix, il trio di attori principali è completato da Marion Cotillard e Jeremy Renner.
Ellis Iland, New York, 1921. Ewa (Cotillard) e la sorella Magda sono partite dalla Polonia per cercare fortuna in America, dove ad attenderle ci dovrebbero essere gli zii. Magda però è malata e viene messa in quarantena. Ewa si ritrova così da sola, preda di Bruno (Phoenix), un affascinante uomo con un giro importante di contatti, che la spingerà a prostituirsi. Quando Ewa viene a sapere che è possibile “liberare” la sorella dall'ospedale, vivrà interamente per quell'obiettivo. Per farlo però, servono i soldi e la donna è disposta a tutto pur di ottenerli.
“C'era una volta a New York”, pessima traduzione italiana dal titolo originale “The Immigrant”, mette in risalto tutta la cura nei dettagli e, ampliando il concetto, la passione per il cinema, che il regista James Gray ha riversato dentro la pellicola. La storia è talmente incentrata sui personaggi, che lo sfondo quasi scompare e si perde il senso dello spazio e del tempo. Il fascino del film non è tanto esercitato dalle ambientazioni anni '20, quanto dalla luce propria di cui brillano i personaggi principali. Gray ha le idee chiare su ciò come vuole mostrare, non mostrare o far vedere soltanto in parte. Nulla è lasciato al caso, ogni singolo dettaglio acquista importanza sia a livello visivo che filmico. Riesce ad approfondire senza mai cadere nella volgarità, e i temi suggerirebbero scene ben più forti, con una delicatezza ed un’intelligenza degna di un cinema d'altri tempi, funzionale e coerente, quasi mistica. E in questo senso si sviluppa anche la costruzione della protagonista Ewa. Molto religiosa, deve incessantemente convivere con il pensiero di guadagnarsi dei soldi in modo peccaminoso. Un personaggio che non si scrollerà mai di dosso una simile colpa e che arriverà addirittura a domandarsi se sia lecito agire in questo modo pur di sopravvivere.
Anche l'entrata in scena di Orlando (Jeremy Renner), che sembra poterle proporre una via diversa per ovviare al suo problema, rappresenta non tanto una speranza agli occhi della protagonista, ma un'alternativa. Un'alternativa che le consentirebbe di togliersi dalle spalle l'atroce fardello di dover vendere il suo corpo. Il Bruno interpretato da Phoenix è invece il personaggio più chiaro-scuro, quello che porta lo spettatore a chiedersi se abbia o meno un cuore. E il confine tra fare del bene e fare i propri interessi può essere molto labile.
La Cotillard è bravissima. Permeata di un'aurea mistica che la parola, ma soprattutto l'immagine e quindi la fotografia le conferiscono, recita in polacco, in inglese (con una cadenza non naturale propria del suo personaggio dell'est) e arricchisce il tutto con l'espressività del viso. In un'intervista riguardante il film, Gray ha dichiarato di essersi ispirato alla Giovanna D'arco di Dreyer, interpretata da Renée Falconetti. Missione più che compiuta: l'esaltazione del personaggio attraverso i primi piani e l'importanza attribuitagli con una fotografia quasi sacrale ha molte assonanze con il film del regista danese.
Da ricordare la scena del confessionale, meravigliosa nell'impatto visivo, ma importante anche perché è forse l'unica volta dove la protagonista rivela qualcosa che lo spettatore ancora non sa, in una sceneggiatura che procede con poche sorprese.
James Gray ha creato una pellicola che sa reggersi sui propri attori, talmente importanti a livello filmico da riuscire quasi ad oscurare il filo conduttore della storia, poiché loro stessi ne creano una al di fuori di tutto.
La frase:
- Bruno: "Se non ti piacciono i soldi me li prendo io"
- Ewa: "I soldi mi piacciono. Sei tu che non mi piaci. Ti odio".
a cura di Matteo Colibazzi
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