Louise Michel
Eliminare il padrone. Che è ricco e spietato al punto da far smantellare completamente la sua fabbrica nottetempo lasciando all’indomani, e senza preavviso, disoccupate le operaie. Le quali mettono allora in comune la loro liquidazione e, dopo aver tirato fuori un paio di proposte sul come impiegarla, decidono all’unanimità di assoldare un assassino che vendichi il torto subito. Il tono grottesco da commedia nera è esplicito sin dall’apertura, con una cremazione accompagnata da un piccolo stereo che trasmette un coro dell’"Internazionale". E ce n’è per tutti, da questo evocato, ignoto "martire del lavoro" fino all’11 Settembre 2001 statunitense (uno psicopatico replica in giardino, con dei modelli in scala, l’attacco aereo e la distruzione delle Twin Towers).
E’ un film sull’anarchia "Louise Michel", omaggio - per l’appunto - all’omonima militante libertaria attiva specialmente proprio sui diritti delle donne. Si dicono negati per la tecnica i registi e sceneggiatori Benoît Delèpine e Gustave Kervern, che fanno dell’umanità la propria forza. Per cui, ad esempio, nella scelta degli attori non si basano su provini, ma su incontri casuali. I due girano a braccio per amore degli imprevisti anti-noia, nel segno della semplicità: macchina da presa statica (una media di tre inquadrature per minuto), interpreti per la maggior parte vere operaie, dialoghi e musica al minimo, sonoro diretto e grezzo. Partono da una prospettiva "ansiosa e pessimistica" gli autori, evidenziando quanto la classe subalterna sia in balìa di un ceto dominante immateriale, decentrato in scatole cinesi (il capo è sempre altrove, invisibile). Ma pur sovvertendo la realtà attraverso l’assurdo, e servendosi della radicalità per suscitare sorriso e fomento, non vanno oltre un’opera sgangherata, di poche trovate brillanti e dalle stancanti ripetizioni.
La frase:
- "Ma vince sempre lei!"
- "Per questo sono il padrone".
Federico Raponi
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