Liberi
Vincenzo ha lavorato per trent'anni nella fabbrica chimica vicino casa, in Abruzzo. Ora il suo reparto è stato chiuso e lui è rimasto senza lavoro e senza stimoli per andare avanti. La moglie, stufa delle sue depressioni decide di andare via, in città, dove spera di rifarsi una vita. Anche Vince, suo figlio, ha voglia di andare via e lasciarsi alle spalle un paesino che è diventato troppo piccolo e che non gli consente di farsi valere.
All'inizio dell'estate Vince raggiunge la madre, che gli ha trovato un appartamentino e un lavoro. Nel ristorante dove fa l'aiuto cuoco, conosce Genny. Anche lei vorrebbe costruirsi una nuova vita altrove, ma i suoi continui attacchi di panico le impediscono di lasciare la città, di prendere il treno, di stare in mezzo alla gente. Vince aiuta Genny a superare le sue paure, ma dovrà far fronte a tanti problemi che credeva di essersi lasciato alle spalle.

Signori e signore, ecco di nuovo in scena la tanto amata (e odiata) provincia italiana. Ecco nuovamente i drammi di ogni famiglia, i problemi e le ansie di ogni ragazzo. Tornano sullo schermo le storie di ordinaria "italianità", quelle dei figli che vogliono andare via di casa e dei genitori sempre preoccupati per i soldi che non bastano mai, per la vita che non è come l'avevano immaginata, per i sogni di gioventù infranti. Il titolo si riferisce, a detta del regista, sia alla "libertà sociale, quando tocca il problema della disoccupazione, che individuale". In realtà, è una lunga citazione di luoghi comuni e situazioni scontate. Un insieme di banalità dal sapore stantio, difficilmente digeribili da chi sa che la vita è anche altro, che ci sono famiglie che vivono bene anche in provincia e persone che decidono di andare via serbando sempre un ricordo intriso di dolcezza e nostalgia nei confronti di tutto ciò che si è lasciati alle spalle.
Toccando temi commoventi e descrivendo situazioni strappalacrime, si ottiene un risultato mediocre, una "soap opera cinematografica" studiata ad hoc per ottenere un largo consenso di pubblico (quello abituato agli spettacolini televisivi) e una stroncatura dalla critica.

Teresa Lavanga

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