Lezioni d'amore
"Lezioni d’amore" è tratto dal romanzo "L’animale morente" di Philip Roth, e l’adattamento dal libro al cinema è opera di Nicholas Meyer, già candidato all’Oscar. La regista Isabel Coixet è una cineasta spagnola la cui produzione è caratterizzata da storie struggenti, velate da un lieve umorismo, ma soprattutto da sfumature un po’ Mélo. E’ una storia d’amore e di morte, uno spaccato di vita di uomini che non si rassegnano a invecchiare e di donne caratterizzate da una forte sensualità. Un antico gioco fra i sessi composto da frasi e sguardi, da sentimenti contrastanti di passione, seduzione e gelosia. Sono tutti elementi che richiamano appunto il genere cinematografico Mélo, sviluppatosi in Italia e in America, che mira a suscitare nello spettatore una profonda commozione, attraverso l’esibizione più o meno esplicita delle passioni individuali, in un connubio fra amore e morte, in cui la musica gioca un ruolo particolare come cassa armonica delle emozioni. Da trent’anni, a partire dalla famosa rivoluzione sessuale, il professore David Kepesh, interpretato dal premio Oscar Ben Kingsley, sembra seguire la sua passione, sprezzante sia per l’istituzione del matrimonio, che ha sperimentato e da cui è fuggito "a gambe levate" abbandonando moglie e figlio, sia per qualsiasi rapporto duraturo con l’altro sesso, è un ardente sostenitore della "Felicità sessuale". Da anni l’affascinante e attempato professore dedica le sue attenzioni alle sue studentesse, ma sono rapporti saltuari e scevri da legami, in cui cerca il piacere e l’appagamento dei sensi non solo nell’espletamento dell’atto fisico, ma anche nella visione palpabile del corpo femminile che considera un’opera d’arte. La sua vita è divisa fra l’insegnamento e l’amicizia con il poeta George O’Hearn (Dennis Hopper), vincitore del premio Pulitzer, che nonostante sia sposato con Amy (Deborah Harry), condivide con lui la passione per le relazioni brevi e ben poco stabili. Gli unici punti di riferimento per Kepesh sono dunque l’amico, gli "incontri" con una donna di successo, Carolyn, interpretata da Patricia Clarkson, che per la prima volta si esibisce in uno spogliarello nella camera da letto, e le liti continue con il figlio (Peter Sarsgaard), che non gli perdona di aver abbandonato lui e la madre. Un giorno però nell’aula del suo corso di critica letteraria all’università entra Consuela Castillo (Penelope Cruz), una ragazza di ventiquattro anni di origini cubane. Questa giovane donna dai capelli scuri e dagli occhi profondi risveglia nel professore un forte desiderio, che sconvolgerà la sua vita, scatenandone la gelosia e il desiderio di possesso, in breve il cinico Kepesh si ritroverà a vivere una storia d’amore. Separazione, morte, disperazione e malattia condurranno quest’ultimo a crescere in qualche modo.
Il film è caratterizzato da un ritmo molto lento, che a volte diventa eccessivo, nel tentativo di riflettere lo spirito di quest’uomo, che in qualche modo vede nel sesso un modo per sfuggire alla vecchiaia e alla paura della morte. Nel disperato tentativo di fermare le lancette rifugge da legami e responsabilità, ma prima o poi si trova a dover fare i conti con ciò che temeva. Kepesh simboleggia l’uomo con la sua paura ancestrale della vecchiaia come cammino verso la morte, di colui che non accetta questa logica determinazione, a cui nessuno può sfuggire. Il quadro che emerge dal film mostra un universo maschile ben poco positivo, caratterizzato da uomini non ancora cresciuti, che considerano le donne come semplici e meri oggetti, opere d’arte, dei giocattoli da rendere propri grazie al loro fascino...quando ce l’hanno. Il personaggio di Carolyn è molto simile a loro, ma la rivalsa su tutti sembra averla Consuela, che è un mix di tradizioni e libertà, un connubio equilibrato di caratteri. E’ proprio questo equilibrio che tutti cercano e nessuno sembra in grado di trovare, fermi nel loro desiderio di essere diversi dagli altri e pensare all’oggi e non al domani. Vi è un certo lirismo, che non eccede mai, e che viene sostenuto dall’intenso gioco di sguardi e silenzi.
In definitiva la pellicola non riesce a colpire, come vorrebbe la regista, le intenzioni sono chiare, ma è come se rincorresse un filo rosso che non raggiunge mai.

La frase: "Le donne belle sono invisibili, perché nessuno riesce a vedere chi si nasconde dietro l’aspetto fisico. Rimaniamo talmente affascinati dall’esterno, che non riusciamo mai a penetrare più a fondo".

Federica Di Bartolo

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