Lettere dalla Sicilia
L'opera prima del siracusano Manuel Giliberti apre nell'Inghilterra del 1863, per poi riportarci indietro di vent'anni grazie al ritrovamento di alcune lettere, proprio come voleva uno dei più sfruttati stratagemmi narrativi che furono alla base dei romanzi del XIX secolo.
Perché, probabile tentativo di rispolverare un cinema caro all'intramontabile Luchino Visconti, "Lettere dalla Sicilia" affronta una vicenda di taglio classico letteral-teatrale, portando in scena la coppia di aristocratici vittoriani Sir (Andrea Giordana) e Lady Warwick (Piera Degli Esposti), in viaggio con le figlie Victoria (Linda Gennari) e Penelope (Giulia Gulino) e con Morgan (Gualtiero Burzi), fidanzato della prima, verso Segesta, ovvero l'antica Egesta, al fine di vivere una esperienza che il Grand Tour in Italia ha reso familiare agli intellettuali.
Quindi, il racconto di una educazione sentimentale, dell'opposizione a volte vana ai conformismi e della ricerca di normalizzazione della diversità, attraverso un viaggio nel corso di cui le suggestioni degli antichi luoghi dell'isola finiscono per avere non poca influenza sui protagonisti, e, in particolar modo, sulla coppia di fidanzati, mentre le apprezzabili musiche di Antonio Di Pofi ("Bruno aspetta in macchina"), che sembrano ricalcare in parte lo stile di Ennio Morricone, in parte quello di storici maestri del calibro di Johann Sebastian Bach e Wolfgang Amadeus Mozart, provvedono a conferire il giusto senso lirico a non poche situazioni.
E c'è anche qualcosa di "Passaggio in India" (1984) di David Lean nelle immagini di quella che, a giudicare dai primi minuti di visione, avremmo tranquillamente potuto classificare come l'ennesima operina d'esordio guardabile, con tutti i suoi pregi e difetti. Peccato che, mentre i fotogrammi scorrono sullo schermo, i secondi comincino progressivamente e numericamente a superare i primi, a partire dall'altalenante prova del cast, sia per quanto riguarda i giovani interpreti che i veterani della scena.
Giliberti, poi, con la probabile intenzione di conferire un originale tocco innovativo al suo lungometraggio, finisce per spezzare il riuscito clima di classicità dal momento in cui lo script tira in ballo il suo lato più cupo e drammatico, avventurandosi su surreali sequenze pseudo-oniriche - realizzate, tra l'altro, con notevole cura e senso della messa in scena - e mostrando perfino un quadro digitalmente deformato.
Un prodotto non del tutto riuscito, dunque, che ci pone inevitabilmente in attesa nei confronti della prossima prova registica dell'autore, il quale ha sicuramente bisogno di un'altra chance per poterci mostrare nella giusta maniera le positive doti non del tutto sfruttate in questa prima occasione.

La frase: "Mio Dio cosa è successo? Questa mattina eravamo tutti così felici".

Francesco Lomuscio

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