Le stelle inquiete
Filosofia e cinema, un binomio non facile. Co-sceneggiato e diretto da Emanuela Piovano, girato nella campagna piemontese con pochi mezzi (tra l'altro è tra i primi film italiani ad aver beneficiato del "tax credit", progetto di sussidio finanziario da parte dello Stato) e una troupe di esordienti, "Le Stelle inquiete" manca l'obiettivo.

L'intenzione di raccontare una parentesi di relativa serenità nella vita della pensatrice e militante politica rivoluzionaria Simone Weil astrae la vicenda dal contesto storico, nello specifico l'occupazione nazista e la persecuzione antiebraica (tra i motivi che l'avevano spinta a lasciare Parigi per stabilirsi per un periodo nella fattoria della coppia Thibon), per restituire un ritratto intellettuale e umano del personaggio in un ambito narrativo. Così Weil si presenta denutrita a causa delle privazioni cui si sottoponeva insieme all'azione (dall'insegnamento al lavoro in fabbrica, dalla militanza come volontaria al fianco dei repubblicani spagnoli all'attività contadina, per l'appunto), ragion per cui malattie e incidenti funestarono la sua breve esistenza fino alla morte per tubercolosi, e prende nota con attenzione sul suo taccuino. Da un lato, però, invece di puntare alla nascita e allo sviluppo dei concetti attraverso il ragionamento e la conversazione, l'opera si limita a un didascalico elenco di aforismi, e dall'altro non fa vibrare la passione latente nel rapporto intellettuale con il collega Gustave, anche a causa della piatta recitazione generale, che lascia da sola - e senza un testo all'altezza - la protagonista Lara Guirao, dalla lunga carriera teatrale. Questo, insieme a un'estetica televisiva, la fisarmonica di Marc Perrone, sottolineati simbolismi (il tavolo sul terrazzo, prima adornato di noci e rami secchi, poi di ciclamini e frutti) e una locandina che cita una delle massime della filosofa: "in ogni passione avvengono prodigi", proprio due elementi che nel film non compaiono.

La frase: "L'amore vero non è passione".

Federico Raponi

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