Le invasioni barbariche
Così come le invasioni barbariche segnarono inevitabilmente il declino dell'impero romano, allo stesso modo i "barbari" di oggi travestiti da uomini d'affari in doppio petto, consacrati ai soldi e alla tecnologia - che conducono una vita frenetica e omologata - stanno minando quella civiltà occidentale che, secondo il regista, è cominciata con Dante e Montaigne.
Seguito ideale de "Il declino dell'impero americano", film di denuncia del 1986 contro un "regime" (quello americano appunto) che si è imposto come dominatore assoluto del mondo intero, questa opera di Arcand racconta di Remy, un professore colto e impegnato, e dei suoi ultimi tragici giorni. Egli ha vissuto un'esistenza sregolata, da libertino, ha amato tutti i piaceri della vita, dell'arte e della cultura, ha inseguito ideali che spesso lo hanno deluso ma che non ha mai abbandonato. Sulla soglia della cinquantina scopre di avere una malattia terminale, ma si scopre anche solo, abbandonato da amici e figli. La ex-moglie Louise, che nonostante i tradimenti gli è sempre rimasta vicino, convince il figlio Sébastien, con un carattere ed una vita diametralmente opposti a quelli di Remy a tornare a Montreal per sostenere suo padre. Il ragazzo, affermato agente finanziario, scuote tutto il sistema ospedaliero per agevolare gli ultimi giorni di Remy, e riesce persino a riunire intorno al letto del padre un'allegra brigata di amici del professore, composta da funzionari, docenti, alunni, tossicomani e studenti, nonché di ex amanti.
Sferzante, cinico, diretto, il film mostra uno spaccato di vita comune a molte persone. Nonostante il tema portante sia quello di una grave malattia, non scade mai nella banalità. Racconta la vita così come è, ricca di dolori e allegrie, di passioni e rinunce. Tocca le corde della commozione ma non si dimentica che anche nei momenti più cupi basta una frase detta in un certo modo per farci sorridere. Tratta argomenti "scottanti" come quello della droga da usare per fini terapeutici, quello dell'eutanasia, quello della corruzione e della mala sanità. Temi che sembrano prettamente italiani, ma che a ben vedere sono sopranazionali. Malgrado la tristezza che sempre accompagna la fine di una esistenza, il film è un canto di lode alla vita stessa, e soprattutto un inno alla giovinezza: è un cantico nei confronti di un periodo ricco di speranze, sogni, illusioni. Non è facile congedarsi da chi si è amato, non è facile accettare di andarsene e non poter più tornare, non è facile pensare che tutto continuerà anche senza di noi, eppure nonostante il rimpianto per non avere cercato mai il senso profondo delle cose, il professore si congeda da tutti consapevole dei propri errori ma non rinnegando la propria natura.
La sceneggiatura, giustamente premiata al Festival di Cannes si avvale di dialoghi sapientemente costruiti, colti, ricchi di citazioni e richiami letterari (che spaziano da Platone, Seneca e Dante fino a opere contemporanee come "Se questo è un uomo" e "Arcipelago Gulag"). Non mancano neppure i rimandi cinematografici, primo fra tutti, quello all'opera di Augusto Genina "Cielo sulla palude", in cui un'eterea Ines Orsini interpreta Santa Maria Goretti.
Per chi ha voglia di sorridere senza dimenticare di riflettere.

Teresa Lavanga

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