Les adieux à la reine
Nel 2002 in Franca venne pubblicato il romanzo Les Adieux à la Reine della scrittrice e storica Chantal Thomas. Il successo sia di pubblico che di critica fu ottimo, e l’anno dopo fu anche tradotto in italiano con il titolo Addio mia regina. Sembrerà strano, ma questa traduzione non letteraria del titolo (sarebbe dovuta essere "Gli addii alla regina") cambia molto di molto il senso della storia raccontata: con l’originale si pone l’accento su tutti qui cortigiani, amici, amiche, nobili e quant’altro che, dopo la presa della Bastiglia, abbandonano Maria Antonietta al suo triste destino, con quello tradotto, invece, si sottolinea lo stretto rapporto tra la Regina e la protagonista della storia, una sua dama di compagnia che l’adora e che non riesce a staccarsi da lei.
Strano, ma vero, nonostante il titolo, il film sceglie di concentrarsi di più su questo secondo versante del racconto. Siamo a Versailles nei tre giorni successivi alla presa della Bastiglia e il veloce sgretolamento della noblesse francese e la presa del potere della borghesia parigina vengono purtroppo messi velocemente ai margini del racconto rispetto alla rappresentazione di due platoniche relazioni, quella tra Maria Antonietta e la duchessa de Polignac e quella sempre tra Maria Antonietta e la giovane ragazza che l’accompagna in pomeriggi di letture e confidenze. Al centro di tutto ci sono quindi i dialoghi, tanti dialoghi e sebbene il regista Benoît Jacquot all’inizio cerchi di costruire anche un linguaggio di immagini, indugiando spesso e volentieri sui primi piani e sui corpi in generale per raccontare una sporcizia emblema di crollo e degrado, lsi tratta di un’idea che poi non ha sviluppi in altre direzioni.
La sceneggiatura rende "freddi" tutti i personaggi. Impossibile empatizzare, si lascia che sia lo spettatore a rendersi conto di quanto grotteschi potessero essere alcuni atteggiamenti o dialoghi di allora, soprattutto se contestualizzati nella drammaticità della situazione. E’ un’ambizione apprezzabile quella di non essere retorici nè didascalici, ma l’esito finale è che non ci si appassioni per niente alle sorti delle protagoniste, nè per ciò che accade intorno a loro. E così i cento minuiti di visione sembrano il doppio nonostante Lea Seyodux, Diane Kruger e il resto del cast siano in parte e facciano del proprio meglio.
La frase:
"Il potere? E’ una condanna, non un privilegio".
a cura di Andrea D'Addio
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