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L’erede











Insieme allo stesso regista, è il veterano Ugo Chiti – sceneggiatore per Francesco Nuti, Alessandro Benvenuti e Giovanni Veronesi – a firmare lo script del primo lungometraggio diretto da Michael Zampino, girato in Super 16 e il cui prologo, ambientato nottetempo, trasmette una certa inquietudine.
Del resto, con l’Alessandro Roja della serie tv "Romanzo criminale" che, nei panni del medico milanese Bruno, s’impossessa di una vecchia villa immersa nella natura selvaggia degli Appennini dopo la morte del padre, è dalle parti di un noir che ci troviamo, tanto più che l’eredità non si rivela affatto facile.
Infatti, mentre a dominare è una certa atmosfera anni Settanta enfatizzata dal connubio tra la fotografia di Mauro Marchetti e le musiche di Riccardo Della Ragione ed entrano in scena la vedova instabile Paola alias Guia Jelo e i suoi figli Angela e Giovanni, rispettivamente con i volti di Tresy Taddei Takimiri e Davide Lorino, il protagonista viene in maniera progressiva a contatto con un passato sconosciuto del padre, scoprendo che il mondo rurale altro non è che un bestiario spietato nel quale la natura è violenta e i pericoli sono ovunque.
E, per la precisione, è un certo equilibrio tra il dramma esistenziale e la commedia nera quello che Zampino cerca di ottenere nel corso dei circa 85 minuti di visione, per alcuni aspetti tutt’altro che lontani dagli horror diretti da Pupi Avati.
Però, se nel complesso la recitazione risulta piuttosto buona, il soggetto rischia in diversi momenti di scadere in situazioni ridicole, oltre ad indebolirsi strada facendo, tanto da condurre l’insieme verso una resa generale che poco si distacca dalle tante fiction tricolori d’ambientazione cupa che affollano il piccolo schermo d’inizio XXI secolo.
Quindi, l’ennesimo tentativo di sfornare un prodotto cinematografico italiano che cercasse di distaccarsi dalle abusatissime denunce sociali su pellicola e dalle storie romantiche adolescenziali, fallisce, come spesso accade in questi casi, a causa della mancanza di coraggio di spingere sul pedale del genere; lasciando nell’ambito di un drammatico qualsiasi quello che, con qualche accorgimento in più, si sarebbe potuto trasformare in un bel film di paura accostabile al filone delle dimore maledette.

La frase:
"Io non ho nessuna intenzione di ridarle la casa, nessuna".

a cura di Francesco Lomuscio

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