L'era legale
Il mockumentary è quel tipo di filmo show televisivo raccontato nella forma del documentario avente al centro della propria narrazione un personaggio o una serie di eventi inventati. Il presupposto è semplice: si fa acquistare credibilità a ciò che si sta mostrando attraverso la costruzione stessa del racconto. Il più bell’esempio di questo genere è senza dubbio Zelig di Woody Allen, ma negli ultimi tempi, grazie anche a successi come Borat e Paranormal Activity e al dilagare delle macchine da presa digitali che abbassando i costi produttivi di un lungometraggio hanno aperto la strada a tanti creativi cineasti, il genere sta diventando molto inflazionato.
L’ascesa di Nicolino Amore, pseudo sindaco rivoluzionario di una Napoli finalmente ben amministrata dei nostri giorni, è al centro della storia di "L’era legale" di Enrico Caria. Come per un reportage giornalistico si parte dalle interviste delle "persone che l’hanno conosciuto bene", ed ecco quindi Renzo Arbore, Isabella Rossellini e tanti altri, per scoprire poco a poco la vita di questo misterioso personaggio che sembra sia riuscito a cambiare il volto della città partenopea. Ecco quindi gli inizi da studente svogliato, i fallimenti da imprenditore, il carcere, gli sfoghi in piazza e l’illuminazione, ovvero la politica. Caria racconta tutto questo cercando di fare di Amore l’emblema di un percorso metaforico, tra l’ironico e il grottesco, del com’è e del come dovrebbe essere la politica. La costruzione è fluida e ogni tanto si sorride. Il risultato però non graffia, non ha la forza comica per alleggerire davvero gli animi dello spettatore,né la capacità di andare davvero a fondo quando si tratta di rappresentare e rigirare l’attualità di Napoli da un nuovo punto di vista. A risultare debole alla fine è proprio il personaggio di Nicolino Amore, così anonimo da non potere credere a quasi nulla di ciò che gli succede intorno. Il risultato è così un film gradevole e nulla più, ben strutturato, ma senza alcun guizzo. E in una pellicola che punta tutto sull’incredibilità della vicenda, questo è un bel limite.
La frase:
"La furbizia finisce per portare all’autodistruzione".
a cura di Andrea D'Addio
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