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Le origini del male











Sebbene la frequente presenza delle soggettive provenienti dalla camera di ripresa di uno dei giovani protagonisti non possa fare a meno di richiamare alla memoria gli stilemi tipici del found footage, ovvero il sottogenere dell’horror che, tornato particolarmente di moda grazie al successo riscosso da titoli quali “The Blair witch project-Il mistero della strega di Blair” (1999) e “Paranormal activity” (2007), include lavori “spacciati” per veri ritrovamenti filmati di tragedie avvenute, il secondo lungometraggio diretto da John Pogue – responsabile del non disprezzabile zombie movie “Quarantena 2” (2011) – non rientra affatto nel filone.
Con Jared Harris nel ruolo di un professore che, nascosto in una tenuta appena fuori Londra per condurre insieme ad un ristretto gruppo di alunni un esperimento su una ragazzina che cela segreti inconfessabili, arriva a risvegliare terrificanti forze oscure, l’aspetto quasi documentaristico che caratterizza buona parte dell’insieme si deve, senza dubbio, alla derivazione del tutto dalla vera storia di alcuni studenti di Oxford di cui non si hanno più notizie da quando, nel 1974, tentarono una cura analoga su una ragazza affetta da un male inspiegabile.
Perché, a partire dalla scelta fotografica di desaturare i colori, l’intento della pellicola è con ogni probabilità quello di ricostruire fedelmente il look delle riprese amatoriali – a quanto pare ritrovate solo quarant’anni dopo – effettuate dai misteriosamente scomparsi da allora, che hanno qui i volti, tra gli altri, della Erin Richards di “Open grave” (2014) e del Rory Fleck-Byrne di “Vampire academy” (2014).
Ma, mentre la ricca colonna sonora di vecchi hit sfodera, tra le altre, “Telegram Sam” dei T-Rex, “Angel” degli Acorns e “Cum on feel the noize” degli Slade, quella che è stata annunciata come un’esperienza cinematografica oltre ogni immaginazione e capace di condurre lo spettatore a una verità sconvolgente, non si rivela essere altro che l’ennesimo agglomerato di elementi già visti e di cui rimane da apprezzare soltanto la buona confezione tecnica.
Quindi, in mezzo ad abbondanza di falsi spaventi, lampadine che esplodono e marchi satanici, lo spettacolo in questione può lasciare soddisfatti esclusivamente coloro che sono estranei al cinema dell’orrore o, al massimo, gli irriducibili seguaci delle fantasmagorie su celluloide che non si stancano mai di vedere riproposti situazioni e stratagemmi sfruttati in cult e classici del calibro di “ESP-Fenomeni paranormali” o “L’esorcista”.

La frase:
"Dico che queste non reggono come prove scientifiche".

a cura di Francesco Lomuscio

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