La volpe e la bambina
La testolina fulva di una straordinaria piccola artista, l’enfant prodige Bertille Noël-Bruneau, è di quelle che restano nel cuore. Alter ego dell’altrettanto rossa co-protagonista a quattro zampe, suo specchio, suo doppio, la bimba recita nell’ultimo film dell’affezionato animalista Luc Jacquet con la grazia magica di un folletto. Stessa felpa viola e stesso tascapane sgualcito ad accompagnarla per l’intero film, il personaggio archetipico di quest’infanzia miracolosa sgambetta tra le frasche di un bosco come non ne abbiamo visti e non ne vedremo mai: tassi litigiosi, ricci ghiottoni, lupi, orsi e un’infinita fauna notturna sembrano essersi dati appuntamento nell’Abruzzo che abbiamo dietro casa. Sarà proprio così? Un prestigiatore non svela mai i suoi trucchi, si sa: Jacquet non fa eccezione.
Il casuale, straordinario incontro tra la piccola e il suo nemico-amico (Disney è in agguato, quando si parla di “fiabe quadrupedi”) segna un’estate immortale. Primi avvistamenti, reciproca diffidenza, qualche ringhio e molte coccole sono snocciolati sullo schermo con garbo consapevole. Un acquazzone di troppo non riesce ad arrestare l’esploratrice indomita, che costruisce lentamente un rapporto pseudo-domestico con l’inafferrabile volpacchiotta conosciuta per fortunatissimo caso. Solo il tempo dorato dirà quali sono i ritmi e i modi che permettono all’animale uomo di stabilire un contatto felice coi suoi colleghi selvatici. La materna, fresca voce narrante, ego adulto di quest’esserino fatato come i bimbi di oggi non saranno mai, è affidata in italiano ad Ambra Angiolini, che non fa alcun danno ad una pellicola più spesso dolcemente muta, qui e là interrotta da interiezioni di pura sorpresa e pascoliani trilli argentini davanti allo spettacolo degli spettacoli.
Campi in fiore, farfalle che si rincorrono, cascate mozzafiato sono infatti il pretesto di Jacquet per assemblare un quadro manieristico, più costruito a tavolino che ritratto come impression en plen air: ma come fargliene una colpa? L’intento è cristallino: fortemente didascalico anche se mai punitivo, consolante ma non troppo, “La volpe e la bambina” è una fiaba di lentiggini e occhi verdi semplicemente solare, che si trastulla col realismo impossibile e intrattiene il fanciullino di ogni età che decida di prestarsi al gioco. Che male c’è? Meglio le Winx? Propendiamo per un secco no. Senza voler peccare d’eccessiva ingenuità, possiamo considerare questa come una favola con tutti i crismi, dotata dei chiarissimi riferimenti a ciò che è giusto e ciò che è sbagliato che un tempo parevano contraddistinguere ogni fiaba degna di questo nome, dalla carta stampata alla pellicola, e che oggi sembriamo aver coscientemente accantonato in nome delle più schizofreniche correnti psicoterapiche d’avanguardia. Oscilliamo consapevoli tra il permissivismo più sfrenato e l’edulcorazione a tutti i costi. Quindi, sfacciatamente: mille grazie, Monsieur Luc.
La frase: "Volpe, non offenderti, non volevo prenderti in giro!".
Domitilla Pirro
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