La stanza del figlio
Tanti misteri attorno alla Stanza del figlio, ultimo film di Moretti. Ma l'ex enfant prodige del cinema italiano, sostiene che non si tratta di una strategia pubblicitaria, ma semplicemente il desiderio di regalare allo spettatore la sorpresa di un film di cui nessuno ha scritto fiumi di parole raccontandone malamente e approssimativamente la storia.
E cosi "La stanza del figlio" è riuscito a mantenere tutto il suo segreto, fino all'ultimo.
Questa volta Moretti aggiunge un nuovo elemento alla sua "poetica cinematografica": il sentimento. Con questo non vogliamo dire che le sue pellicole precedenti di sentimento non ne avessero, ma in questo film c'è l'essenzialità dei sentimenti: sofferenza, perdita, amore tutti purificati da orpelli inutili che in alcuni casi persino le troppe parole possono essere.

Racconta la storia di una famiglia normale, qualsiasi, in una cittadina di provincia. Giovanni psicoanalista, Laura sua moglie e i due figli adolescenti, Irene e Andrea. La morte accidentale del figlio è una deflagrazione troppo forte perché i membri non ne restino colpiti. Come pezzi di una bomba che scoppia, si allontanano l'uno dall'altro davanti all'inenarrabile dolore affrontando in modi diversi e spesso opposti, la perdita.
Giovanni ripercorrendo ossessivamente la fatale giornata domenicale, tentando persino coscientemente di cambiarne il corso; la sua rabbia lo porta a considerare uno dei suoi pazienti responsabile dell'incidente, della fatalità che lo ha voluto lontano dal figlio anziché insieme a lui.
Paola che urla il suo dolore piangendo tutte le sue lacrime e tentando la via del ritorno alla vita attraverso la lettera di una giovane amica del figlio spedita senza sapere.
Irene che sbattendo contro la solitudine di uno o dell'altro genitore piange di nascosto in un camerino di prova e fa uscire la sua rabbia picchiando i compagni di gioco.
È un dolore che allontana, divide le persone che si amano di più.
Si cercano ma restano distanti, in un silenzio e una solitudine che li disorienta, li confonde portandoli in un inferno di domande e sentimenti contraddittori dal quale però riusciranno miracolosamente a ritrovare la via del ritorno alla vita.
Riunendosi concluderanno quel diverso cammino che la sofferenza ha fatto percorrere loro.
Come sopravvissuti Giovanni, Paola e Irene ritorneranno "a casa", in una giornata di sole e luce accecante, con le loro diverse esperienze che serviranno a ricostruire una nuova e differente quotidianità.

Un film lungamente pensato: tre anni durante i quali Moretti, insieme a Linda Ferri e Heidrun Schleef, ha lavorato alla sceneggiatura, poi alle riprese, poi al montaggio. Un lavoro abitualmente lento perché molto meditato il suo, ma per sua stessa ammissione, mai tanto lento come per questo film. Non è facile parlare di lutti così fortemente sentiti, e ancora meno facile parlarne in modo essenziale, tralasciando ogni artificio tipicamente cinematografico che avrebbe potuto alleggerire o drammatizzare l'evento.
Moretti invece ha voluto tutta la concentrazione dello spettatore, tutta la sua commozione per partecipare a questo dolore a volte inesprimibile che lacera ogni minuto, ogni ora di più senza tregua.
L'intensità della Morante, accorata ma mai sopra né sotto le righe; la voce rotta e lo sguardo perso di Moretti che rende così giustizia ad una recitazione minimalista da tutti oramai conosciuta. Per tacere dei camei di Stefano Accorsi e Silvio Orlando, due pazienti di straordinaria ed elettrizzante bravura. Ma su questo nulla di nuovo, sono solo delle conferme.

Valeria Chiari

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