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La Principessa e il Ranocchio
Figlia del ricco gentiluomo di New Orleans Eli La Bouff, conosciuto come "Big Daddy", la viziata e fiammeggiante Charlotte sarebbe intenzionata a sposare il tanto bello quanto irresponsabile principe Naveen, il quale, a insaputa di lei, finisce però trasformato in ranocchio a causa di un incantesimo voodoo lanciatogli dal sinistro e minaccioso dottor Facilier alias Uomo ombra.
Partendo da qui, i veterani Ron Clements e John Musker, autori, tra l’altro, di "Aladdin" (1992) e "Il pianeta del tesoro" (2002), ribaltano il soggetto alla base de "Il principe e il ranocchio" dei fratelli Grimm tirando in ballo il personaggio della sensibile Tiana, migliore amica di Charlotte che, convinta che lavorare duramente sia l’unico modo per ottenere qualcosa nella vita, si ritrova mutata in rana nel momento in cui bacia Naveen versione anfibio, da sempre abituato ad essere servito e riverito nel suo castello.
Costretto insieme a Tiana alla dura vita delle paludi della Lousiana, tra cacciatori di rane e alligatori affamati, infatti, quest’ultimo si trova anche a dover apprendere la triturazione dei funghi; mentre fanno la loro progressiva entrata in scena esilaranti figure quali la romantica lucciola Ray(mond), la centonovantasettenne Regina del Bayou Mama Odie e Louis, coccodrillo amante del jazz che tanto ricorda quello che voleva ingurgitare Capitan Uncino nell’intramontabile "Le avventure di Peter Pan" (1953).
Non a caso, al di là del dottor Facilier, la cui immagine sembra non poco una caricatura del trash director John Waters, è facile avvertire nel corso della visione una tipologia di disegni operata a mano che rispecchia pienamente – in maniera quasi nostalgica – la vecchia tradizione del cartoon Disney, testimoniata anche dall’evidente somiglianza tra i tratti di Naveen e quelli del protagonista maschile de "La sirenetta" (1989), sempre firmato da Clements e Musker.
Con l’amicizia tra le tematiche principali (il vitalizio legame tra Tiana e Charlotte), immancabili messaggi traboccanti buonismo proto-Zio Walt (il buon cibo riunisce le persone di qualunque genere) e l’importanza di accettare tutti i pregi e difetti dell’altro per ottenere il vero amore.
Tra melma e muco, senza dimenticare l’indispensabile ironia indirizzata agli spettatori più piccoli ed individuando l’unico piccolo difetto nei troppi momenti cantati che, volti efficacemente ad enfatizzare il magico clima da fiaba, assumono a lungo andare le evidenti fattezze di riempitivo per una storia decisamente esile, seppur ritmata nella giusta maniera.
La frase: "Io bacerei cento ranocchi se potessi sposare un principe e diventare una principessa".
Francesco Lomuscio
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