La patente
Per il suo primo lungometraggio da regista, Alessandro Palazzi sceglie come fulcro l’autoscuola che il perennemente insoddisfatto trentenne Rolando, con le fattezze dell’Andrea De Bruyon di "Morituris" (2011), si trova a dover gestire, proprio nella settimana che precede gli esami, a causa dell’improvvisa morte dell’anziano proprietario.
Una autoscuola che, a partire da Sergio alias Ernesto de Stefano, cameriere del bar all’angolo dedito al piccolo spaccio, finisce inevitabilmente per assumere i connotati di una sorta di teatrino al cui interno "sfila" un assortimento di grotteschi personaggi, ognuno con la propria altrettanto grottesca preparazione all’ottenimento della patente.
Infatti, mentre seguiamo le assurde conversazioni tra Sergio e il tossico Renato, con il volto di Michele Ferrarese, e veniamo a conoscenza dei burrascosi rapporti tra Rolando e la sua fidanzata Mina, incarnata dalla Lucia Rossi di "Samara" (2012), sono le lezioni di pratica impartite da Tonino e dal più giovane Piero – rispettivamente interpretati da Matteo Lombardi ed Emanuele Beffa – a offrire buona parte delle occasioni di divertimento nel corso dell’oltre ora e venti di visioni.
Dal secondo che associa l’atto della guida ad un rapporto sessuale al primo che si trova a passare un guaio con il diciottenne Alessandro alias Daniele Grifoni, innamorato della Serena cui concede anima e corpo Arianna Di Stefano.
Un campionario completato da un transessuale nei cui panni troviamo Isabel Gondim e da Robert Cervantes e Jin Liyu nei ruoli del domestico cingalese Armando e della cinese Liyu Jin, tutti al servizio di un cast la cui prova risulta nel complesso convincente.
Un cast immerso in una bella colonna sonora dal sapore rock’n’roll, la quale contribuisce a rendere ancor più fresco un non eccelso ma godibile insieme destinato, inoltre, a individuare uno dei suoi maggiori punti di forza nel montaggio di Francesco Loffredo; veloce ed a tratti schizofrenico, tanto che sembra aggiungere un certo anticonformismo di derivazione godardiana a quello che, in fin dei conti, poteva apparire come l’ennesimo tentativo di trasferire sul grande schermo l’idea per lo sviluppo di una sitcom.
La frase:
"O ce se droga o se lavora, ‘o voi capi’? Io, per esempio, me drogo".
a cura di Francesco Lomuscio
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