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L'amore di Marja
Un'allegra famigliola di sangue finlandosiciliano si trasferisce negli anni settanta in Sicilia, dove il padre viene chiaramente riaccolto come un figliol prodigo, ma dove la madre e le figlie stentano a comprendere ed a farsi capire. La libertà sessuale, la parità nella coppia, l'indipendenza, la privacy, non dimorano ancora nell'isola aggrappata a tradizioni e doveri di una volta. Marja (Laura Malmivaara) vede cambiare la sua cucina, gli orari dei pasti; la convivenza, poi solo vicinanza con i suoceri, elementi di un costante controllo. La sua anima è talmente braccata che preferisce fuggire in un mondo immaginario sommerso dove lei interpreta il ruolo della spia dell'interpool, e dove dal pescivendolo al portiere, passando per il barista, sono tutti sospetti e sicuramente nemici. Il marito Fortunato (Vincenzo Peluso) abbandona di nuovo la terra natia per cercar fortuna all'estero, per dare una sicurezza alla famiglia, lasciando moglie e figlie in balia delle dicerie, delle malelingue, dell'omertà. Màrja viene ricoverata per cure mentali, e le bambine crescono un po' con i nonni, un po', per necessità, sole, contro tutto e tutti in attesa del ricongiungimento. La famiglia si riunisce, si ristabilisce, affronta il viaggio di ritorno in Finlandia dai nonni materni, ma poi torna lì dov'è la loro vita. Alice, la grande, mantiene solo una corrispondenza con la nonna, un filo di speranza attaccata all'altro capo dell'Europa, che si spezza prestissimo con la morte della vecchia.
L'adolescenza vede la famiglia ricomporsi e stringersi attorno debolezze femminili che nella reazione si fanno forza. Il padre continua a mandare soldi dall'estero ma non è con loro quando Alice prova l'acido e la sorella rimane in cinta.
La più grande fugge a nord fermandosi a Roma, la più piccola tiene il bambino, e nella nuova generazione da tutti ormai accettata, ripongono le speranze di un miglioramento della specie, frutto di un incrocio degli estremi continentali.
La regista (Anne Riitta Ciccone) al secondo lungometraggio (Le sciamane, il primo) pesca nel suo bagaglio personale per scandagliare le origini della sua rabbia e voglia di reagire. È efficace quando descrive la durezza e la mancanza di libertà a certe latitudini, un po' rancorosa quando tralascia le bellezze, i colori e calori del profondo sud, immedesimandosi troppo con la figlia che la rappresenta sullo schermo. È consapevolmente soggettiva la sua visione, terapeuticamente emotiva e di sicuro rigeneramento personale e non. Colpisce per la sua capacità di dare responsabilità a chi ne ha, per la sua voglia di dirigere in un mondo maschile, e per quel cinquanta percento di sangue nordico che l'aiuta ad osservare meglio, quando qualcuno fa finta di non vedere.
La protagonista Malmivaara, finlandese al cento per cento, parla bene italiano, è naturale nel rapporto con le figlie, asciutta anche nella follia, perde un po' troppo presto, insieme al personaggio, la grinta e la voglia di cercare alternative terrene, al mondo sommerso nel quale si ritira mamma per uscirne nonna. Il padre Peluso è giusto anche se una nticchia de panza col passare degli anni lo avrebbe reso un po' più sicùlo.
Andrea Monti
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