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La casa nel vento dei morti











Si comincia il 2 Settembre del 1947, con un quartetto di individui in fuga tra i boschi, uno dei quali gravemente ferito, che ci permettono di apprendere le loro identità soltanto dopo un flashback volto a riportare a due giorni prima: il siciliano trasferito al nord Ciccillo, con il volto del Marco Iannitello di "Diciottanni - Il mondo ai miei piedi" (2010), l’artista circense Eurigio, interpretato da Adriano Guareschi, l’ex attore dell’epoca fascista Attilio alias Luca Magri e Ugo, pregiudicato responsabile dell’uccisione della moglie fedifraga cui concede anima e corpo Francesco Barilli, autore dei due stracult nostrani "Il profumo della signora in nero" (1974) e "Pensione paura" (1977).
Lo stesso Francesco Barilli che, già interprete – come pure Guareschi e Magri – de "Il solitario" (2008), lungometraggio tramite cui debuttò dietro la camera Francesco Campanini, affianca il romagnolo classe 1976 al timone di regia per questa opera seconda; la cui lunga prima parte, al di là di un inaspettato incontro con due cacciatori, viene riservata alla presentazione dei protagonisti, reduci da una rapina all’ufficio postale.
Lunga prima parte orchestrata tra fiumi, pianure e montagne, man mano che viene generata l’attesa nei confronti dell’arrivo alla famigerata casa del titolo, dove soltanto tre dei quattro, in cerca di rifugio, riescono ad arrivare per essere accolti da un poker di donne di diverse età.
Infatti, mentre la prova d’esordio campaniniana di cui sopra mirava principalmente a omaggiare il noir di stampo poliziesco, qui, con la bella fotografia di Raoul Torresi a rappresentare uno dei maggiori pregi, si punta decisamente all’horror, tirando in ballo una inquietante e inarrestabile spirale di follia e violenza.
E bisogna dire, che, chiudendo un occhio su una recitazione non sempre convincente (difetto tipico delle produzioni indipendenti realizzate a basso costo) e di un forse troppo lento ritmo di narrazione, il risultato finale convince maggiormente rispetto al pur apprezzabile "Il solitario".
Merito in particolar modo di una confezione molto più curata e di un certo clima generale che, non privo di un vago (???) sottotesto anti-bellico, riporta coraggiosamente alla memoria tipologie di spettacolo tricolore da schermo a quanto pare accantonate da tempo; dalle storie dell’orrore di Pupi Avati ad alcuni cupi sceneggiati degli anni Settanta.

La frase:
- "Era una donna poco affidabile"
- "E chi lo è di questi tempi?".

a cura di Francesco Lomuscio

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