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Giovani ribelli - Kill Your Darlings









Dopo “Howl” con James Franco, ecco un altro film incentrato sulla figura di Allen Ginsberg. Questa volta è Daniel Radcliffe a vestirne i panni e il regista esordiente John Krokidas decide di soffermarsi sul periodo della formazione universitaria, dove un giovane Ginsberg, iscritto alla Columbia University, incontra l’affascinante Lucien Carr, con il quale instaura un profondo legame di amicizia dai risvolti ambigui. Insieme al nuovo amico, a un giovanissimo William Burroughs e a Jack Kerouac, Ginsberg si lascia trasportare in un mondo di trasgressione, nuove esperienze e rottura delle convenzioni, che getterà i presupposti per lo sviluppo immediatamente successivo della “Beat Generation”. Peccato, però, che di quel bisogno di sovversione, distruzione e successiva ricostruzione, di quella tensione verso la completa e incondizionata espressione di sé rimanga soltanto una patina e un debole eco. John Krokidas cerca di restituire un contesto e un’atmosfera inglobando nel suo discorso un po’ di tutto, dalle droghe, ai drammi familiari e individuali, a Rimbaud, Yeats e Keats, ma il suo sguardo non va oltre un superficialissimo ritratto di ragazzi allo sbando che non sembrano mossi da alcuna reale esigenza, ma si muovono, incerti, alla continua ricerca del nuovo e dell’estremo. Il tutto condito da un’estetica al limite del video-clip che fa abuso di ralenti, fermo immagine e di ogni espediente che possa mascherare la totale assenza di contenuti. E l’assenza di una direzione precisa inficia sul ritmo del film, che, nonostante un montaggio che dovrebbe ottenere un risultato opposto, procede piatto, regolare e prevedibile. Dopo pochi minuti il pubblico ha già perso interesse per le vicende dei protagonisti perché mancano alla base dei caratteri abbastanza solidi da giustificarne le azioni, e il tutto sembra un susseguirsi di scenette prive di un’intenzione e di un obiettivo comuni. Sul versante attoriale, purtroppo, la situazione non è tanto meglio: se Dane DeHaan e Ben Foster sono discreti (nonostante dei ruoli scritti male), Daniel Radcliffe dà un’ulteriore conferma della sua scarsa capacità comunicativa ed espressiva e il suo Ginsberg non sembra altro che un ragazzino un po’ ingenuo in preda agli ormoni. Alla fine del film ci si chiede qual è il bisogno di realizzare opere del genere, dove il sentimento di una generazione si trasforma in un quadretto estetico e carino, un po’ cool magari, e tutto fila liscio e scorrevole senza, però, andare a parare da nessuna parte.

La frase:
"Vorrei che la mia vita fosse fatta solo di ‘prime volte’".

a cura di Stefano La Rosa

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