Kill Me Please
Questo film non è per tutti. Si tratta di umorismo nero portato alle estreme conseguenze, scritto in nero su fondo nero. Basti pensare che parla di uno dei temi più scottanti nel cinema così come nella cultura occidentale. Questa pellicola di Olias Barca affronta il tema della morte in maniera diretta, senza fronzoli, spingendo con decisione l’acceleratore sulla corsia del grottesco. Va da sé che i risultati non sono apprezzabili da tutti i palati. Il professor Kruger è il primario di una clinica del tutto particolare. Non è una casa di cura ma una vera e propria struttura della "buona morte", un luogo in cui i propri clienti possono porre fine alla propria vita in maniera pulita e indolore. Un giorno un banale incidente con gli abitanti di un villaggio vicino innesca una serie di conseguenze imprevedibili. Per il suo film Olias Barca sceglie un bianco e nero sporco, in cui il secondo colore prevale decisamente sul primo. Il taglio iniziale è crudo, quasi realista, ma lungo la progressione delle scene assume tratti che sconfinano nell’assurdo se non addirittura nel visionario. Il tema della clinica della morte conferisce forza al tema principale, ma Kill me please non è un giudizio sull’industria della "fine della vita" e nemmeno sul suicidio assistito. Quello che Barcas sembra dire è che la morte è morte e che la dignità o la mancanza di dignità non sono categorie applicabili all’evento più naturale dell’uomo dopo la nascita e il sesso. I vari personaggi sembrano in principio del tutto normali ma a poco a poco dimostrano in maniera inequivocabile tutta la loro follia, dalla cantante d’opera che ha perso la voce al piazzista con il passato incomprensibile, passando per il suicida cronico e la star del rap capricciosa. Tra i vari interpreti possiamo notare Saul Rubinek, un bravo caratterista statunitense attivo negli ultimi anni sul versante delle serie televisive. Il finale, eccessivo e oltre ogni forma di grottesco, rappresenta la stessa decostruzione della civiltà occidentale, che crolla sotto il peso di uno dei suoi simboli.

La frase: "Mi dia la pistola, sono un cecchino".

Mauro Corso

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