FilmUP - Recensione: Killing Words

Killing Words - Parole assassine
“Parole incatenate” è un gioco infantile che per Laura, affascinante psichiatra sulla trentina, si trasforma in un gioco mortale. Legata ad una sedia in un seminterrato e davanti al video di un uomo che ammette con agghiacciante impassibilità di essere un serial killer, la giovane donna è costretta a giocare con le parole per tentare di salvarsi la vita.
Un mese dopo Ramon, carismatico professore di filosofia all’Università viene fermato dalla polizia e condotto in questura per essere interrogato sulla scomparsa della psichiatra. Insospettiti dalla documentazione raccolta sull’uomo, il cui comportamento violento era stato messo in luce nel corso del processo per il divorzio e confermato da alcune fotografie ritrovate in casa sua, i due investigatori mettono alle strette il professore che dopo aver raccontato alcune iniziali menzogne rivela successivamente tutto ciò che accadde nello scantinato. Quasi tutto.
Adattamento di un lavoro teatrale, il secondo film dell’attrice Laura Mañà è una straordinaria prova di abilità registica e cinematografica. Con una sceneggiatura legata indiscutibilmente e quasi esclusivamente ai dialoghi tra i quattro personaggi (Ramon, Laura e i due investigatori), la Mañà riesce a trasformare tutte queste parole in altrettante azioni e delle più cruente. Il desiderio di nemesi di Ramon sbatte infatti contro la paura di Laura ma in seguito deve anche confrontarsi con la sua rabbia e il disprezzo e infine persino con un curioso sentimento d’affetto scaturito da inaspettate verità.
Nucleo centrale di una scenografia iper-essenziale, Ramon e Laura lasciano pian piano trasparire il coraggio e la viltà della loro intimità mentre la regista si fa moderatrice di quel duro e a tratti crudele confronto con un montaggio che alterna i due quadri principali: il seminterrato e la sala degli interrogatori. Un gioco di parole e coltelli tra & vere e omicidi presunti da far accapponare la pelle.

Valeria Chiari

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