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Kakraki
Girate in bianco e nero, nello stile che caratterizzò le pellicole prodotte ai tempi del cinema muto, le immagini che aprono il lungometraggio d’esordio del trentunenne moscovita Ilya Demichev (sceneggiatore di "Shakhty" e "Polmetra") non rappresentano altro che i funerali del grande scrittore Gogol (del quale nel 2009 è ricorso il bicentenario della nascita), visti in sogno dall’alto funzionario ministeriale Mikhail, con le fattezze di un ottimo Mikhail Efremov.
Non a caso, è proprio la figura e l’opera del padre del moderno realismo russo – autore de "Il cappotto", "L’ispettore generale" e "Le anime morte" – a trovarsi continuamente al centro degli eventi narrati da Demichey, i quali vedono il protagonista, uomo maturo, benestante, morigerato e con una vita disciplinata dal lavoro, dalla famiglia e da uno spiccato gusto per le scarpe eleganti, innamorarsi a prima vista, in una libreria, di Nastia, giovane commessa di origini cinesi interpretata da una brava Olga Sunn.
E, con ritmi di narrazione decisamente dilatati, tipici delle produzioni che costituiscono la cinematografia sovietica, è proprio a partire da questo momento che l’operazione comincia a decollare, mostrandoci Mikhail impegnato a raccontare alla ragazza il suo felice periodo vissuto da studente, mentre finisce per mettersi progressivamente nei guai nel tentativo di volerla aiutare a far operare in Germania la madre malata di cancro.
Fino ai risvolti inevitabilmente tragici di un racconto su celluloide d’impianto classico, ma allo stesso tempo nichilista e spregiudicato nella concezione del mondo, che, senza rinunciare a un indispensabile pizzico d’ironia e attraverso il continuo richiamo a colui che influenzò in maniera profonda Dostoevskij, Bulgakov e Kafka, irride l’improbabile smania di cambiamento nella compagine dell’amministrazione statale, universo di piccoli e grandi burocrati avidi e senza qualità.
Con la risultante di uno sferzante affresco della società russa contemporanea che si lascia tranquillamente guardare senza generare troppi entusiasmi, sostenuto in particolar modo dalla buona prova del cast.
La frase: "Tutti noi siamo nati dal ‘Cappotto’ di Gogol".
Francesco Lomuscio
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