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JokerLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Rosanna Donat01 settembre 2019Voto: 9.0
Ha lasciato il pubblico accreditato di stucco il film di Todd Philips, "Joker", incentrato sulla storia del passato del clown più amato di sempre, il cui reale nome è Arthur Fleck. Definito come uno spin-off prequel e con protagonista lo strabiliante Joaquin Phoenix, il film prende ispirazione dalla graphic novel "The Killing Joe", di Alan Moore e Brian Bolland, ma anche da "The King of Comedy" di Martin Scorsese, il quale si è occupato della produzione. La pellicola, presentata in Concorso alla 76esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e vincitrice del Leone d’Oro, è ambientata negli anni ’80 e segue la storia di Arthur, un commediante di scarso successo, la cui psiche viene turbata da una società che non crede in lui. Mosso da un’impeto di pazzia, l’uomo diventerà un criminale con il nome di Joker, che semina il panico a Gotham City, grazie alle sue elevate capacità intellettive.
Potente a livello visivo e psicologico, il “Joker” di Todd Philips è un piccolo capolavoro dei giorni nostri, uno di quei film che lascia largo spazio alla riflessione, uno di quei film che lascia l’amaro in bocca nel momento in cui ci rendiamo conto che viviamo in un mondo simile a Gotham City, in cui il diverso fa paura, deve essere allontanato, evitato. Allo stesso tempo, però, è evidente il compiacimento degli altri verso la sofferenza altrui. La pellicola infatti mostra uno scenario sociale in cui non esiste migliore collante collettivo della rabbia e del malcontento. Todd Philips è riuscito nell’impresa di rendere il suo “Joker” accattivante, già a partire dal sorriso iniziale dello stesso protagonista, Joaquin Phoenix, che viene ripreso anche nell’ultima scena del film, come a voler chiudere un cerchio, la storia della sua nascita. Un sorriso, quello del Joker, che spiazza, spaventa e, nonostante ciò, risulta intrigante agli occhi del pubblico: quanto può fare un sorriso? E una risata? Quanto può cambiare il modo di vedere un personaggio, di entrare in empatia con esso? Molto, perché se si sbaglia a fare una semplice risata, la figura protagonista, così come il film intero, rischia di divenire ridicolo, di perdere il suo spessore psicologico. Una risata sbagliata può rendere un personaggio privo di credibilità. In questo però Joaquin Phoenix non commette errori: dalla risata, così come dal sorriso di Joker emerge un mondo interiore fatto di sofferenza, di solitudine, di mancanze, di inadeguatezza: nessuno lo difende, nessuno lo considera, almeno fino a quando non viene chiamato per fare il comico in una trasmissione. È proprio in questo momento che il suo dolore prende una forma ancora più evidente. Ciò che affascina è il modo in cui la violenza viene rappresentata, al di là della bravura degli attori. Ogni dettaglio inquadrato alla perfezione, ogni paura messa in risalto talmente bene che lo spettatore entra in uno stato di ansia che irrompe prepotentemente. Quella tensione che non stanca, ma anzi mantiene l’attenzione del pubblico per tutta la durata della pellicola. Non parliamo di splatter, anche se qualche momento di maggiore impatto visivo esiste, ma di pura tensione, quella che ormai si è persa negli anni. Se la regia è minuziosa, la sceneggiatura lo è ancora di più: i dialoghi sono diretti, incisivi, studiati nel dettaglio. Non c’è spazio per la superficialità. È questo che mantiene l’attenzione: capire che ogni cosa ha senso di esistere, che ogni cosa ci permette di capire qualcosa in più del personaggio e della società con cui Joker si deve confrontare e da cui deve difendersi, con il sorriso perché è l’unica cosa che può “salvarci” dall’amarezza della vita. Il film “Joker” non segue alla lettera il fumetto che gli appassionati conoscono, ma riesce nell’intento di raccontare la sua storia, il suo inizio, ciò che lo ha portato ad essere quello che poi è diventato. La frase dal film:
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