Jigoku de naze warui ( Why Don'T You Play in Hell?)
Nonostante alcune scelte stilistiche come quella di ricorrere, all’interno di una sequenza, ad un tema musicale palesemente volto a richiamare la "Don’t let me be misunderstood" dei Santa Esmeralda, possano lasciare tranquillamente pensare a un omaggio a "Kill Bill volume 1" (2003), complice anche la presenza della tuta gialla di Bruce Lee che Quentin Tarantino fece indossare alla Uma Thurman armata di katana, risale alla seconda metà degli anni Novanta la sceneggiatura del lungometraggio diretto dal giapponese classe 1961 Shion Sono.
Lungometraggio che parte dalla figura di Mitsuko (Fumi Nikaido), giovane attrice innamorata del gangster Jun Ikegami (Shinichi Tsutsumi), il quale, però, si odia con il padre di lei Taizo Muto (Jun Kunimura), malavitoso intento a realizzare il sogno della moglie Shizue (Tomochida), ovvero quello di vedere la ragazza in un film.
Dando il via a quasi due ore di visione destinate a evolversi con l’entrata in scena di Kouji Hashimoto (Gen Hoshino) e del regista indipendente Don Hirata (Hiroki Hasegawa), interessato a realizzare il film della sua vita rendendo protagonista Mitsuko, ma senza immaginare che la situazione non sia affatto semplice come credono.
Del resto, già dallo spot televisivo che apre la pellicola appare evidente un generale tono grottesco-surreale atto a lasciar emergere non poco l’ironia, man mano che il decisamente frenetico montaggio scandisce quello che prende forma a mo’ di vero e proprio delirio da grande schermo.
Delirio che, alimentato anche dai colorati effetti visivi della cocaina, sguazza tra esagerati mega-rigetti proto-"L’esorcista" (1973) e non indifferenti spargimenti di liquido rosso, portati ai massimi livelli, in particolar modo, nel corso della divertente fase finale dell’operazione.
Quindi, in mezzo a decapitazioni, arti mozzati e geyser di sangue, l’aria che si respira è, a tutti gli effetti, quella di un violentissimo fumetto underground su celluloide... ma non tarda a farsi viva l’impressione che lo scherzo sia tirato un po’ troppo per le lunghe e che, di conseguenza, finisca per risultare consigliabile esclusivamente agli estimatori del cinema orientale più folle.
La frase:
"Fate un bel film, anche se dovesse essere l’unico della vostra vita".
a cura di Francesco Lomuscio
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