I vicerè
“I viceré” tratto dal romanzo omonimo di Federico de Roberto, narra le vicende della nobile famiglia degli Uzeda di Francalanza in Sicilia, durante il Risorgimento, nel cruciale passaggio dal Regno dei Borboni all’unificazione d’Italia.
A capo della casata il principe Giacomo, un uomo avido, interessato solo al potere, che ama imporre su tutti la sua volontà, in particolare sul figlio Consalvo.
Intorno a loro il variegato mondo degli zii, delle zie e dei cugini, tutti comunque segnati da una profonda corruzione morale.

Roberto Faenza nella trasposizione dal romanzo al film ha cercato soprattutto di rendere evidenti i parallelismi tra la situazione politica di allora e quella attuale, sacrificando all’altare dell’attualità l’evoluzione emotiva dei personaggi.
Il messaggio che passa è quello che allora come oggi: “Tutto cambia perché tutto resti uguale” e che sono l’avidità, la sete di potere, le meschinità e gli odi privati a muovere gli uomini.
Ciò che manca, come dicevamo è la componente emotiva del racconto, i personaggi non riescono a creare empatia con il pubblico, non ci si appassiona alle loro vicende e due ore di film senza un minimo di partecipazione sono lunghe da reggere.
Tra l’altro, il film prodotto dalla Rai è evidentemente pensato per trasformarsi presto in fiction televisiva: la confezione, i ritmi, le inquadrature e la scelta degli attori, tutto è pensato per funzionare al meglio sul piccolo schermo.
Tra le note positive la performance di Lando Buzzanca nel ruolo del dispotico principe Giacomo, una prima parte interessante, in cui tutte le vicende della famiglia vengono raccontate attraverso gli occhi divertiti dei bambini, che si scambiano pettegolezzi e impressioni e le bellissime location scelte.

La frase: "E da quando in qua essere onesti e coraggiosi significa qualcosa".

Elisa Giulidori

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