Itaker - Vietato agli Italiani
Il titolo fa riferimento all’appellativo il cui significato sarebbe "italianacci", utilizzato per definire gli emigrati del Bel Paese in Germania.
Perché, ambientato nel 1962, il secondo lungometraggio dell’agrigentino classe 1979 Toni Trupia, autore de "L’uomo giusto" (2007), racconta proprio di un particolare viaggio dallo stivale tricolore alla Germania.
Il viaggio di Pietro alias Tiziano Talarico, bambino di nove anni che, orfano di madre, parte per ritrovare il padre emigrato e di cui non si hanno notizie, affiancato proprio da un sedicente amico del genitore: il giovane Benito Stigliano, uomo dai trascorsi dubbi e che è pronto a qualsiasi cosa per ottenere un riscatto personale in terra tedesca.
Ed è il Francesco Scianna di "Vallanzasca - Gli angeli del male" (2010) in una delle sue migliori interpretazioni a incarnare quest’ultimo, coinvolto in quello che vuole essere il racconto per immagini del tentativo di recupero di un’identità.
Il racconto di una crescita e della lotta sempre presente tra sopravvivenza e sentimenti che, frutto della commistione di elementi inventati e sintesi di storie realmente accadute, vede i due protagonisti incontrare il mondo della fabbrica di Bochum, comunità italiana in città, quello del contrabbando, fatto di valigie ed espedienti, e la non sempre pacifica convivenza tra tedeschi e immigrati venuti dal paese del sole.
Due protagonisti che, immersi nella splendida fotografia di Arnaldo Catinari e circondati da un lodevole lavoro scenografico, sembrano quasi usciti dal Neorealismo; affiancati da un cast popolato di volti più o meno noti della celluloide, da Michele Placido al Nicola Nocella di "20 sigarette" (2010), passando per il Vincenzo Peluso de "I buchi neri" (1995).
Peccato, però, che, sebbene la confezione tecnica risulti tutt’altro che disprezzabile, il tentativo di rappresentare sullo schermo una pagina di storia poco ricordata tenda a lasciar emergere diverse pecche per quanto riguarda lo sviluppo dell’idea.
Tanto che, con la morsa della noia volta occasionalmente a fare la sua entrata in scena, l’impressione è quella di avere davanti agli occhi un’operazione non solo basata su un esile soggetto forzatamente esteso a oltre un’ora e mezza di visione, ma che sembra anche non permettere allo spettatore di intendere dove voglia andare a parare.
La frase:
- "Ma tu perché ti sei messo a piangere?"
- "Ho fatto finta".
a cura di Francesco Lomuscio
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