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Iron Man
All’elenco dei supereroi sbarcati sul grande schermo mancava l’uomo di ferro, che in realtà di ferro non è come ben ripete il suo alter ego Tony Starks "si tratta di una lega di oro e titanio", ma che comunque sia, dal 1963, (ovvero da quando apparve per la prima volta a fumetti) si fa chiamare Iron man. Si tratta del primo film prodotto direttamente dalla Marvel, che dopo aver tante volte venduto i diritti alla Sony (leggasi ad esempio Spiderman e Ghost Raider ), alla Fox (X-men), Warner Bros (Blade) e alle altre majors hollywoodiane, ha deciso di fare da sé alleandosi con la Paramount.
Per l’occasione ha scelto un regista, ex attore, che ben se la cava con effetti speciali e ritmo da commedia (Jon Favreau, già autore di "Elf" e "Zathura") e un attore che più stravagante e stralunato non si poteva: Robert Downey Junior. Chiaro che l’idea di un uomo tutto armi, in quest’epoca di guerre e tragedie, rischiava di disamorare in partenza quel pubblico che già non fosse amante del personaggio attraverso i comics. La scelta ricaduta su questo interprete così diverso dai soliti canoni capace di far sorridere anche ad un solo sguardo va letta in tal senso: il solo apparire di Robert Downey Junior sul grande schermo trasmette (e in questo film ce n’è un’ulteriore conferma) voglia di disimpegno e di non prendersi troppo sul serio.
Il prologo sembra pescare a piene mani dall’attualità: Asia centrale, terroristi nascosti tra le montagne e truppe americane a presidio e perlustrazione della zona. Rispetto al fumetto originale non ci sono Wing Hu e i suoi vietnamiti, ma Raza e un gruppo di militi che dovrebbero (ma nessuno lo specifica) essere estremisti islamici. Insomma, c’è un’attualizzazione del personaggio che lascerebbe pensare ad un radicamento della storia, che di lì in avanti andrà a svilupparsi, con la quotidianità, ma così non è. Il film prende presto la strada del più leggero (e forse redditizio in termini di intrattenimento) racconto del supereroe che lotta contro un cattivo affamato di potere. Non che sia un male, ogni film ha una sua struttura e degli obiettivi propri, ma quel pizzico di pessimismo che ultimamente si manifestava anche in tutte le fracassone produzioni hollywoodiane (vedasi ad esempio la New York sotto assedio dei Transformers o la cupissima Gotham City di Batman begins, che rumors danno ancora più violenta nel sequel) è qui sostanzialmente messo da parte, per far spazio al processo d’avvicinamento al bene percorso dal suo protagonista. E’ infatti negli scrupoli di coscienza di Tony Starks, da produttore di armi a filantropo, che risiede l’aspetto drammaturgico di questa pellicola spettacolare, divertente e ben narrata, ma non ansiosa di andare un pò più in là.
Il regista Favreau se la cava bene nella narrazione, enfatizza il giusto i classici momenti topici (la prima apparizione dell’armatura, lo scontro aereo con i jet e il confronto finale), senza perdere di vista l’umanità dei personaggi aiutato da un ottimo cast di attori.
Robert Downey Junior trova un degno contraltare nell’ex Lebowsky (e irriconoscibile) Jeff Bridges. Gwyneth Paltrow ha la giusta carica di femminilità (il poco cinema fatto negli ultimi anni sembra averla ringiovanita) per coprire il ruolo della bella partner di turno.
Da notare poi il solito (c’è sempre nei film su personaggi Marvel) cameo di Stan Lee, padre della Marvel e coautore del personaggio: è Hugh Hefner, il patron di Playboy. O almeno è così che lo confonde Tony Starks sul red carpet di una festa di gala.
La frase: "A volte bisogna correre prima di camminare".
Curiosità: "La fretta non é mai una buona consigliera...! Per tutti i fan dell'uomo di "ferro" il consiglio é quello di non scappare dopo i titoli di coda, perchè ad attenderli c'é una gradita sorpresa".
Andrea D’Addio
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