Invincible
Torna al lungometraggio di finzione dopo un decennio, Werner Herzog, tra gli esponenti di spicco del Manifesto del Nuovo Cinema Tedesco (JDF) negli anni ’60, prolifico regista di documentari, film e opere liriche (soprattutto di Richard Wagner) nonchè scrittore di prosa. Doppia identità e delirio personale sono i nuclei portanti de ‘l’Invincibile’, e se nel primo caso per due personalità apparternenti a mondi lontani tra loro la mistificazione risulta insopportabile alla mente più semplice, il sogno fallimentare accomuna invece entrambi (Hanussen vede sfumare la creazione del Ministero dell’Occulto, la dote divinatoria di Zishe non viene creduta).
Nella storicizzazione, Herzog sa dare un riconoscibile aspetto di verità tangibile alla modesta, cruda condizione popolare, Tim Roth è adeguato nel ruolo di ambiguo ammaliatore - nell’arduo misurarsi con Klaus Maria Brandauer, che interpretava il medesimo personaggio ne ‘la Notte dei maghi’ - e il sogno dei granchi rossi, ripreso da una lettera del giornalista Michael Goldsmith e premonitore dell’avvento del Nazismo (allo stesso modo in cui lo furono i topi nel ‘Nosferatu’ originale), ci riporta alla caratteristica poetica visionaria del cineasta. “Particolarmente affascinato” dal terzo concerto per pianoforte di Ludwig Van Beethoven, secondo lui “pervaso da una sensazione di cattivo presagio come all’alba di una grande battaglia”, Herzog gli ha dedicato un momento di centralità, e per eseguirlo ha fortemente voluto la musicista Anna Gourarile a cui riconosce una capacità di magnetismo, funzionale nella determinazione “a portare il pubblico indietro, verso una posizione elementare”. In questa direzione, insieme a Gourarile anche il forzuto protagonista buono non è attore professionista, e ciò contribuisce però a rendere freddo e inerte un dramma dove mancano vigore ed efficacia di sceneggiatura (sempre di Herzog, che ha romanzato un fatto vero).

La frase: "Ho vissuto da re spacciando l’occulto ai dubbiosi".

Federico Raponi

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