Into the Storm
Ricordate “Twister” (1996) di Jan de Bont, nel quale Helen Hunt e Bill Paxton guidavano una squadra di storm-chasers intenti ad immettere all’interno di un tifone uno speciale strumento scientifico che permettesse loro di ricavare informazioni necessarie alla preparazione di un piano di emergenza al verificarsi dei violenti fenomeni in questione?
Regista della seconda unità di “Titanic” (1998) e “Avatar” (2009) di James Cameron, nonché autore di “Final destination 5” (2011), Steven Quale ne riprende bene o male l’argomento a diciotto anni di distanza, inscenando la dura lotta per la sopravvivenza intrapresa dai cittadini di Silverton, sulla quale, nel corso di una sola giornata, si è abbattuta una serie di spaventosi tornado senza precedenti.
Cittadini che hanno i volti, tra gli altri, del Richard Armitage de “Lo hobbit-Un viaggio inaspettato” (2012), della Sarah Wayne Callies della serie televisiva “The walking dead”, del Nathan Kress legato al piccolo schermo e di Alycia Debnam-Carey, nel corso di circa un’ora e mezza di visione che, in maniera simile, appunto, alla pellicola diretta dal responsabile di “Haunting-Presenze” (1999), pone in scena anche il Matt Walsh di “Una notte da leoni” (2009) equipaggiato di corazzato automezzo ed intento a spingersi dentro al ciclone per ottenere lo scatto fotografico che si presenta una sola volta nella vita.
Con vaghi riferimenti anche al cinema catastrofico di Roland Emmerich per quanto riguarda in parte la presentazione dei diversi personaggi, in parte le dinamiche di determinati momenti d’azione, la novità, però, risiede nella scelta di far rientrare il tutto nel filone del found footage, portato al successo, soprattutto in ambito horror, da “The Blair witch project-Il mistero della strega di Blair” (1999) di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez.
Quindi, sono camere a circuito chiuso ed altre, in perenne movimento, tenute in mano dai protagonisti ad immortalare la turbolenta situazione, tempestata di alberi spazzati via, edifici portati alla distruzione e, addirittura, un vortice di fuoco.
Uno degli ingredienti vincenti dell’insieme, quest’ultimo, che, come pure la fuga a bordo degli scuolabus e la tesissima sequenza che vede due ragazzi imprigionati sott’acqua, contribuisce a fornire il necessario senso dell’entertainment all’operazione.
Operazione che non offre nulla di particolarmente originale, ma che, oltre ad essere annoverabile tra i più godibili falsi documentari di sempre, riesce nella sempre più difficile impresa di sfuggire alla morsa della noia (cosa che Jan de Bont non seppe fare).
La frase:
"Questo tornado è già stato definito il più grande in assoluto della storia".
a cura di Francesco Lomuscio
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