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Il ponte delle spie











Steven Spielberg torna a tre anni di distanza da “Lincoln” (2012), in cui aveva cucito addosso a Daniel Day Lewis il ruolo del presidente americano Abramo Lincoln. Una storia leggendaria e nota a tutti, sicuramente molto più di quella raccontata ne “Il Ponte delle Spie”.
L’ultima opera del regista premio Oscar per “Schindler's List” (1993) racconta la vera storia dell’avvocato James B.Donovan, che nel pieno della guerra fredda tra Stati Uniti e Russia si ritrovò da legale a negoziatore per lo scambio di due ostaggi. Spielberg dipinge un thriller davvero emozionante, con Tom Hanks di nuovo in forma eccellente come ogni volta che lo dirige il cineasta creatore dei “Goonies” e “Ritorno al Futuro”. La scrittura dei fratelli Coen è semplicemente sublime, con dei dialoghi che da soli valgono il prezzo del biglietto e permettono di vivere un’esperienza quasi letteraria piuttosto che cinematografica.
Un film che si lascia ascoltare, ma anche vedere con una fotografia ben costruita. La storia non è originale, ma è sicuramente interessante l’argomento trattato. Non siamo di fronte a un film crudo e spietato come “Munich”, che probabilmente è superiore a quest’ultima opera, ma a un gioco delicato di potere in cui si inserisce un qualcuno di esterno.
James B.Donovan non aveva mai chiesto il potere, ma nel momento in cui si è trovato trascinato all’interno di un gioco di potere lo ha accettato cercando di ottenere il meglio per la sua etica professionale e per il suo paese. La sua battaglia contro le ingiustizie per salvare Rudolf Abel (Mark Rylance).
Steven Spielberg riesce nell’impresa di rendere un thriller di quasi due ore e mezza incredibilmente scorrevole e comprensibile, con dei protagonisti molto solidi. Spielberg è stato spesso accusato di fare dei film eccessivamente americani, questa volta regala un’opera quasi di demonizzazione del ruolo degli Stati Uniti d’America e mette un uomo esterno al sistema nella posizione di aggiustarlo. Una denuncia forte di come il diverso venga condannato a priori, a volte senza alcun bisogno di prove certe. Un’America diversa da quella democratica sostenuta da Spielberg, che spesso e volentieri ha paura di essere giudicata.
Oltre ad essere l’ennesima storia vera nella carriera di un genio di ogni tipo di genere (dalla fantascienza con “E.T” fino all’animazione con “Le avventure di Tin Tin” passando per “Jurassic Park”) è anche un invito alla giustizia e a sforzarsi di lottare per far si che questa venga riconosciuta. La guerra raccontata da Spielberg è quanto mai attuale perché siamo in un’epoca in cui l’informazione è quanto mai in primo piano e spesso chi ha le informazioni può far pendere l’ago della bilancia, come durante la guerra fredda.
Il ponte dello scambio di Berlino è l’ideale passaggio tra un regime e un altro, ma entrambi hanno avuto i loro scheletri nell’armadio e la poetica finale di Spielberg è come sempre arte allo stato puro.

La frase:
"Stiamo vivendo una guerra che si combatte con le informazioni".

a cura di Thomas Cardinali

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