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Il giovane favoloso











La breve vita di Giacomo Leopardi, dalla Recanati della biblioteca paterna fino alla Napoli del colera e del Vesuvio.
Un Giacomo Leopardi che, cresciuto in casa sotto lo sguardo implacabile del genitore Monaldo, incarnato dal Massimo Popolizio di “Romanzo criminale” (2005), possiede i connotati di Elio Germano sotto la regia del napoletano classe 1959 Mario Martone, il quale torna al grande schermo a quattro anni dal mastodontico “Noi credevamo” (2010).
Un Giacomo Leopardi, quindi, vissuto quasi come in prigione e che, dal momento in cui in Europa il mondo cambia e scoppiano le rivoluzioni, comincia a cercare disperatamente contatti con l’esterno, lasciando a ventiquattro anni il comune marchigiano di nascita per ritrovarsi accolto dall’alta società italiana alla quale, però, non si adatta.
Perché, man mano che troviamo in scena anche Isabella Ragonese nei panni della sorella Paolina e che lo vediamo coinvolto a Firenze in un triangolo sentimentale con l’amico napoletano Antonio Ranieri e la bellissima Fanny, rispettivamente interpretati da Michele Riondino e Anna Mouglalis, è il ritratto di un ribelle, uomo libero di pensiero, ironico e socialmente spregiudicato quello che emerge.
Ribelle in contrasto addirittura con la natura e che, convinto che chi dubita sa più che si possa, il già citato Germano porta in scena con tanto delle deformazioni fisiche di cui la storia ci ha sempre messi al corrente; mentre le due ore e quindici minuti di visione si rivelano, fotogramma dopo fotogramma, di stampo fortemente teatrale. Infatti, con la corsicatiana Iaia Forte inclusa nel cast, appare principalmente come un film d’attori l’insieme, il cui unico punto di forza non può essere rappresentato altro che dalla notevole cura sfoggiata da scenografie e costumi.
Colpa non solo di un ritmo narrativo talmente fiacco da conferire al tutto il look di una noiosissima fiction televisiva che andrebbe divisa in due puntate, ma anche e soprattutto della totale incapacità di coinvolgere lo spettatore nella fruizione di un biopic che per nulla lascia avvertire il fascino della romantica poetica di colui che ci ha regalato, tra gli altri, gioielli dell’inchiostro su carta del calibro di “A Silvia”, “Il Sabato del villaggio” e “La sera del dì di festa”.

La frase:
"La mia patria è l’Italia, la sua lingua, la sua letteratura".

a cura di Francesco Lomuscio

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