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Il giardino di limoni - Lemon Tree
L’ultimo suo film (era il 2004), "La sposa siriana", lo aveva consacrato a Locarno e Montreal.
Oggi il regista israeliano Eran Riklis si ripropone con un nuovo lavoro e lo fa con un accento autoriale sentito e appassionato.
Un mix di dramma e ironia, commedia e tragedia, un ritratto onesto e vero di quello che vivono oggi Israele e la Palestina.
Le piante, in questo caso di limoni, sono la metafora perfetta per raccontare di un tema come quello della devastazione del territorio e dello sradicamento delle proprie radici.
I limoni, che nella realtà storica israeliana non hanno un simbolismo morale, (come invece è tipico degli olivi), sono qui il tramite emozionale per dipingere un conflitto di culture e storie.
La pellicola rende con molta efficacia quel clima pesante e psicologico di sospetto reciproco ma anche di paura continua per la possibilità di attentati.
Sembra di assistere all’episodio biblico di Davide e Golia: da una parte la casa del ministro della Difesa israeliano, perennemente sottoscorta, dall’altra un giardino di limoni, amorevolmente curato da una vedova palestinese.
Ma se le due storie, così diverse fra di loro, sembrano quasi non "sfiorarsi" nemmeno, è un terzo personaggio, quello della moglie del ministro, ad apparire invece quello chiave e più coraggioso.
Disobbedendo al marito, cerca di superare quel confine storico – politico, oltre che fisico, creando un "contatto" mediatore con l’altra figura femminile, anche se a distanza, e instaurando un rapporto di dialogo – ascolto, che alla fine è simbolo di quella volontà di cambiamento che questi due Paesi ricercano nel loro cammino verso la pace oramai da troppi anni.
Qui il giardino, così strenuamente difeso, rappresenta quel rifugio della memoria evocativa che non va oltraggiata, ma che è anche il simbolo di quella bellezza da preservare e non da distruggere.
Riklis nel suo racconto fa respirare poesia vera, facendoci prendere coscienza di un problema invece serio e ancora irrisolto.
L'ultima sequenza, forse quella più rappresentativa del film, ci mostra un muro di confine, l'immagine di un uomo, imprigionato nel suo pensiero, che non si sforza di andare oltre, così come il suo sguardo non può vedere al di là della sua casa.
È un'immagine triste, forte, perché l’ostacolo da superare della guerra è enorme.
Ma la speranza della rinascita (il frutteto tagliato a metà ricrescerà) c’è e dà la spinta fiduciosa per un futuro diverso.
La frase: "Farsi la guerra non porta a nulla".
Andrea Giordano
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