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Il diario di Matilde Manzoni
I grandi drammi hanno spesso fatto grande il cinema. Risultato naturale se il regista è artista geniale come Luchino Visconti ne "Il Gattopardo" o Victor Fleming in "Via col vento", molto meno buono quando manca non solamente di una valida sceneggiatura ma anche di una regia che abbia quantomeno una "direzione". Purtroppo non c'è niente di tutto questo nel film scritto e diretto da Lino Capolicchio. L' attore/regista pensa al cinema ma fa televisione, e neppure di ottima qualità, restando ai margini di tutto, della Storia, della Letteratura e dei personaggi, trasformando questi ultimi in macchiette insopportabili.
Del grande scrittore del Romanticismo italiano Capolicchio lascia intravedere una nuca e nello spazio di un brevissimo momento, preferendo invece sviluppare l'intera vicenda attorno a Vittoria e Matilde, le ultime dei suoi nove figli. Con una piattezza fuori dal comune (paradossalmente il solo guizzo creativo della pellicola) si susseguono i pochi eventi della vita della giovane Matilde, che tra le infinite lettere indirizzate ad un padre indifferente, si lascia incantare dal fascino di un ingegnere senza scrupoli e dalla passione per un giovane patriota idealista, ammiratore dei canti del Leopardi. Ma è davvero difficile provare un qualsiasi interesse per questa giovanetta dalle scarse attrattive, sempre triste e perduta nel moralismo e conformismo della metà Ottocento. Passa inosservato anche lo sfondo storico dei moti irredentisti, periodo particolarmente intenso durante il quale, teniamo a ricordare, prese forma la moderna e unita Italia.
Un film inutile insomma, sebbene sovvenzionato dal Ministero dei Beni Culturali, in cui il viso emaciato e triste della protagonista, interpretata dall'esordiente Ludovica Andò, dovrebbe fare da contrappunto alla sofferenza frustrata dalla noncuranza paterna. Nelle due ore di film si passa rapidamente dagli approssimativi scontri sul campo di patrioti caserecci agli insulsi scambi verbali delle protagoniste. Personaggi femminili troppo vicini alla macchietta e ai cliché, non solo per essere credibili ma anche e soprattutto per provocare una pur minima emozione. Restano in mente così solo le mossette, sorrisini e sospiri della Tante Louise di Corinne Cléry, o le insipide battute dell'improbabile ingegner Spadoni di Urbano Barberini.
Valeria Chiari
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