Il colore della libertà - Goodbye Bafana
Nelson Mandela può essere considerato a pieno titolo uno dei personaggi simbolici del ventesimo secolo. Essenza vivente della lotta contro l'Apartheid, dopo aver trascorso ben ventisette anni in prigionia divenne nel 1994 il primo presidente democraticamente eletto in un Sud Africa non più segregazionista. Durante gli anni di prigionia Mandela fu guardato a vista da una guardia carceraria di nome James Gregory, che per la sua conoscenza dello Xhosi, il dialetto nativo di Mandela poteva controllare agevolmente la sua corrispondenza (che provvedeva a censurare con solerzia) e le sue conversazioni semestrali con la moglie.

Goodbye Bafana mostra come si evolve il rapporto tra prigioniero ed aguzzino e come il carisma di Mandela lentamente faccia comprendere a Gregory l'ingiustizia dell'Apartheid e la pacificità delle intenzioni del suo movimento, che aspira alla nascita di un nuovo Sud Africa in cui tutti siano liberi e pronti a collaborare l'uno con l'altro in condizioni di parità. Così il film si dipana dalla fine degli anni '60 fino al rilascio di Mandela l'11 aprile del 1994. Viene così mostrata una realtà speculare in cui entrambi sono prigionieri del proprio ruolo: Mandela perché terrorista e detenuto politico e Gregory perché amante dei "kaffer", il termine dispregiativo con cui venivano definiti in Sud Africa gli uomini di colore. La storia però finirà per dare ragione ad entrambi.
L'ottica però è tutta secondo la visuale del carceriere, che ha del resto firmato la biografia da cui è tratto il libro di memorie, anch'esso dal titolo Goodbye Bafana.

Tutto è bello e buono dunque, verrebbe da dire. Ci troviamo di fronte a un nuovo film su un uomo che nel suo "onesto" operato viene a contatto con i grandi movimenti della storia. Però è proprio qui che iniziano i problemi. Secondo il biografo ufficiale di Nelson Mandela, il giornalista Anthony Samson, il libro di James Gregory sarebbe in realtà frutto di un abile falsificazione. Gregory cioè non avrebbe mai avuto autentici contatti con Mandela, ma sarebbe venuto a conoscenza di molti dettagli della sua vita privata grazie al suo ruolo di controllore della corrispondenza del futuro presidente. Forse è solo un'ombra, ma sufficiente a far dubitare in ogni suo aspetto di un film presentato come "storia autentica".

La frase: "Voglio che tu sia la finestra sulla loro anima... se ne hanno una".

Mauro Corso

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