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Il Cacciatore di Giganti











Con il David Dobkin regista di "2 single a nozze" (2005) figurante sia in qualità di produttore che – insieme a Darren Lemke – di autore del soggetto, il punto di partenza è il giovane agricoltore Jack, il quale, con le fattezze del Nicholas Hoult dello zombie-movie sentimentale "Warm bodies" (2013), si ritrova in possesso di una manciata di fagioli che danno presto origine a una gigantesca pianta verticale in grado di condurre a una terra abitata da giganti.
Perché, mentre Ewan McGregor ricopre il ruolo della fedele guardia di palazzo Elmont, impegnato nella battaglia contro gli spaventosi esseri intenti a reclamare i territori un tempo perduti, è sulle favole "Jack e la pianta di fagioli" e "Jack and the giant killer" – entrambi immerse nel contesto delle leggende di re Artù – che si basa il lungometraggio di Bryan Singer; girato in tre dimensioni e impreziosito da un cast comprendente, tra gli altri, il candidato all’Oscar Stanley Tucci e la Eleanor Tomlinson vista anche in "Educazione siberiana" (2013) di Gabriele Salvatores.
Tre dimensioni il più delle volte irrilevanti, a dire il vero, man mano che si sguazza tra effetti visivi nel complesso soddisfacenti e che le sequenze che vedono coinvolti i pericolosi "mostroni" alternano momenti quasi horror (si pensi alle vittime divorate vive) ad altri fortemente tendenti al trash (abbiamo addirittura peti e disgustose dita nel naso).
Aspetto, quest’ultimo, che non finisce comunque per rappresentare un elemento di disturbo nel corso della oltre ora e cinquanta di visione, pullulante spettacolarità e la cui messa in scena non può fare a meno di ricordare, a tratti, quella della trilogia "Il Signore degli anelli"; come un po’ tutte le avventure epiche da schermo succedute alla monumentale operazione jacksoniana.
Fino all’emozionante scontro finale di un giocattolone di celluloide che si mostra capace di funzionare a dovere soprattutto grazie al ritmo narrativo senza tregua e che, di conseguenza, non rientra affatto tra i meno convincenti lavori dell’altalenante autore dell’ottimo thriller "I soliti sospetti" (1995) e del non esaltante cinecomic "Superman returns" (2006).

La frase:
"Non sarò l’eroe di questa storia, ma almeno saprò come finisce".

a cura di Francesco Lomuscio

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