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I, Frankenstein











“200 anni dopo, lui è ancora vivo”. Questo il preambolo di “I, Frankestein”, un action fantasy dai creatori di Underworld diretto da Stuart Beattie. Dopo una breve introduzione sulla storia universalmente conosciuta della creatura nata dal genio dello scienziato Victor Frankestein, la vicenda entra nel vivo dei giorni nostri, attualizzando il mito e fornendo una visione eroica di cosa potrebbe essere successo all’uomo senz’anima.
In un mondo dove nei sottoborghi delle città regna incontrastata la lotta tra bene e male, personificate rispettivamente da gargoyle e demoni, Adam Frankestein (Aaron Eckart) si ritrova coinvolto nello scontro, conteso da una parte e protetto dall’altra. Il capo dei demoni, Naberius (Bill Nighy), vuole analizzare e replicare attraverso la scienza avanzata il processo che ha riportato in vita quest’uomo, per organizzare un esercito del male e distruggere i gargoyle, il cui compito è salvaguardare l’umanità.
L’idea semi-innovativa di partenza aveva destato interesse e portato a un buon livello l’attenzione verso il film. Ma se queste erano le sensazioni iniziali, il lavoro però non è stato sviluppato in tal senso, a partire dal copione che tutto è meno che originale anche se alcuni spunti singolari sono presenti, come la voglia di affidare ad i gargoyle la parte dei buoni. L’eticità dei temi ha assunto tuttavia un carattere troppo moralistico e superficiale, eliminando la profondità e puntando il tutto per tutto sull’epicità della storia.
Sarebbe stato intrigante invece analizzare il contrasto tra l’immortalità di un essere (non) umano che va alla ricerca della sua anima, cosa che invece nel film viene solo accennata, aggiungendo tasselli ad un puzzle che viene completato con difficoltà e un po’ di prepotenza.
La straordinaria ambientazione gotica e l’alto livello tecnico della grafica del film sono in sostanza le uniche cose che si salvano di questo nuovo prodotto eroico, che neanche l’interpretazione di Aaron Eckart riesce a salvare, nei panni di un Frankestein scialbo e statico il cui unico punto forte è la fisicità. Nonostante l’opera sia uno dei capisaldi della letteratura inglese amato di generazione in generazione, il prodotto cinematografico risulta essere stato concepito con il fine ultimo dell’intrattenimento per un target puramente giovanile.

La frase:
"Lo ieri dell’uomo non può mai essere come il suo domani. Niente può durare, tranne la mutabilità".

a cura di Valeria Vinzani

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