I cavalieri che fecero l'impresa
Sottovoce nell'ampio coro della Basilica di St. Denis un anziano prete, Giovanni da Cantalupo (Carlo Delle Piane), si aggira con una lanterna tra le tombe di pietra sotto cui riposano re e regine di Francia. Ricorda i cinque cavalieri che fecero l'impresa e che coraggiosamente, attraversando terre e viaggiando per mare riuscirono a trovare il Sacro Lenzuolo in cui vennero avvolte le spoglie del Cristo dopo la crocifissione, cosparso delle macchie del suo sangue.
Si rivolge al ritratto scolpito in pietra del Re Santo, Luigi IX, morto nell'inverno del 1271.

È proprio con il rito funebre del re, in quel freddo inverno che aveva visto fallire miseramente la settima Crociata, che cinque giovani di diverse origini si incontrano e unendo le loro forze e spartendo lo strabiliante segreto della scoperta del luogo in cui alcuni traditori tengono nascosta la Sacra Sindone, intraprendono un viaggio avventuroso che li condurrà dall'Appennino Tosco Emiliano ad Otranto per raggiungere Tebe. Non troveranno solamente il Sacro Lenzuolo ma anche e soprattutto il senso alla loro vita. Il segno che tanto attendono sarà proprio quell'avventura difficile, contro la quale molte forze si oppongono, ma che cancellerà ogni legame con la vita senza meta di prima, portandoli a diventare un gruppo di veri e valorosi cavalieri legati l'uno all'altro dal rispetto e dalla devozione, fino all'imprevedibile e dolorosa sorte finale.

Il film di Pupi Avati ha avuto una lunga preparazione. Iniziato nel 1998 con l'avvio dei laboratori di scenografia, dei costumi e del casting a Cinecittà, è andato avanti per tutto il '99 con la realizzazione, negli studi di Todi, di tutti gli oggetti, gli arredamenti e le armi da un gruppo di artigiani specializzati, fino ad arrivare al 3 aprile del 2000, inizio delle riprese che dureranno 19 settimane. Una vera "impresa" che ha portato la produzione in giro per l'Italia, dalla Val d'Aosta alla Puglia, passando per l'Umbria e il Lazio, oltre alla Francia e alla Tunisia.
La ricostruzione del mondo medioevale al quale il cinema italiano è poco uso, è indubbiamente molto fedele e d'effetto. Già con Magnificat il regista si era dilettato raccontando una storia di usi e costumi di una delle epoche più violente ma indubbiamente ricche di fatti storici, oltre che straordinariamente produttiva in arte e letteratura.

Il regista non lesina in roghi umani, ferite profondissime e sbudellamenti e il rito funebre del re di Francia è particolareggiato: nessun dettaglio sembra mancare, dal cuore strappato e assicurato in una urna d'oro, alla bollitura dell'intero corpo per ottenere alla fine ossa ben polite. Brevi accenni ai Templari e ai loro presunti riti diabolici si mescolano agli usi curativi d'un'epoca dominata dal sangue e dalla morte.
Ma la perfetta ricostruzione storica non sempre riesce a rendere vivo il racconto, al contrario, sembra appesantirlo con lungaggini che ne rallentano il ritmo, per tacere del viaggio dei cinque giovani, di per sé piuttosto lungo.
Peccato perché l'idea di una epopea cavalleresca tutta mediterranea, da contrapporre alla britannica e ben più famosa ricerca del Graal, solleticava il nostro orgoglio nazionale.

Valeria Chiari

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