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Hunger Games











Chi lo avrebbe mai detto che Jennifer Lawrence sarebbe diventata nel tempo un’attrice anche "fisica", ovvero in grado di caricarsi sulle spalle un film d’azione come "Hunger Games", facendo proprio del suo fisico la ragione per cui fin dalle prime inquadrature della pellicola diretta da Gary Ross, si intuisce che il personaggio da lei interpretato ce la potrà fare, potrà uccidere tutti gli altri ragazzini inviati dalle varie province del regno e sopravvivere così al gioco mortale a cui è stata costretta a prendere parte. Quattro anni fa, quando chi scrive la intervistò a Venezia per la presentazione di "The Burning Plain" l’allora neo-diciottenne del Kentucky interpretava una giovane ragazza di campagna che, da grande, avrebbe avuto le fattezze della splendida Charlize Theron. Una bellezza delicata, per quanto già allora con lo sguardo severo di chi sapeva cosa desidera nella vita.
Forse è riduttivo partire dall’ottima performance recitativa di Jennifer Lawrence per parlare di "The Hunger Games", ma la scelta azzeccata del casting nel volerla come protagonista è il primo punto di forza di questa pellicola che riesce, come poche volte era capitato per un prodotto che punta prima di tutto ad essere per teenager, ad appassionare e a risultare "credibile" nonostante tutto l’intorno si viaggi sul difficile equilibrio tra il drammatico grottesco ed il demenziale.

Un passo indietro ed ecco qualche accenno alla trama. In un ipotetico futuro non ci sono più guerre, ma la società è fortemente divisa tra ricchi e poveri. I primi vivono agiatamente in città, i secondi sono divisi per stati e lavorano quasi come schiavi. Per evitare che scoppino rivolte e che quella violenza da frustrazione abbia uno sfogo, ogni anno vengono organizzati una sorta di "giochi senza frontiere" a cui ogni provincia è costretta a mandare, o tramite estrazione o grazie a dei volontari, un paio di propri giovani adolescenti. Il gruppo formatosi mettendo assieme i vari ragazzini dei diversi stati viene messo successivamente in un bosco ben delimitato e chi sopravvive vince, portando gloria e denaro (a tempo limitato) alla propria "patria". Sono gli Hunger Games del titolo ed il pubblico li segue da casa facendo il tifo proprio come un tempo, sulle stesse basi concettuali, Elio Petri diresse l’italianissimo La decima vittima (1965) ed anni dopo uscirono film come "Rollerball", "Anno 2000: la corsa della morte", "L’implacabile", "Battle Royale" fino ai vari "The Gamer" e "Death Race" dei giorni nostri.

La bravura del regista e sceneggiatore Gary Ross risiede prima di tutto nel non banalizzare nulla di quanto accade. Le uccisioni, per quanto cruente e riguardanti bambini (e si sa, mai uccidere un bambino ad Hollywood), vengono mostrate e affrontate di petto, senza ricorrere all’horror, ma con giusti espedienti di montaggio. La paura che possa capitare qualcosa di male ai due protagonisti (assieme alla Lawrence c’è il suo partner interpretato da Josh Hutcherson) è continua e non lascia mai la presa visto che tutto il contesto appare moralmente sbagliato e sappiano che qualsiasi cosa accada, comunque troveremo che ingiustizia sarà stata fatta. Grazie ad un’ambientazione temporale da post apocalissi, o quasi, la storia ha la possibilità di riportare la violenza su di un piano scenico più "manuale", meno spettacolare, ma sicuramente più avvincente. Ecco allora coltellate, trappole come se fossimo nel paleolitico e una lotta per la sopravvivenza che fa passare in secondo piano ogni pensiero di civiltà, o quasi.
Il successo di questo film, già decretato dal box office dei Paesi in cui è già stato distribuito, fa sì che ci saranno sicuramente gli altri due sequel di cui si compone la trilogia di romanzi scritta dall’americana Suzanne Collins e pubblicata in Italia dalla Mondadori.

La frase:
"Felici Hunger Games!".

a cura di Andrea D'Addio

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