Hotel Meina
Fino al Settembre 1943 Meina era conosciuta come una delle più belle località del Lago Maggiore. A due passi da Arona, la gente ci passava le estati. Da allora invece il suo nome è legato a quello di una delle prime stragi naziste di ebrei in Italia.
Una settimana dopo l'annuncio dell'armistizio, le SS si presentarono nell'hotel della famiglia turca Behar, dove alcune famiglie ebree si erano rifuggiate scappando da Salonicco.
L'occupazione dell'albergo durò fino al 23 Settembre e fu chiusa, come preventivabile (adesso, ma non allora) da barbare e vigliacche uccisioni.
Carlo Lizzani porta sullo schermo questa storia partendo dal libro omonimo di Marco Nozza.
L'ottantacinquenne regista romano continua su quel percorso dedicato alla storia d'Italia, e in particolare agli anni della seconda guerra mondiale, che ha caratterizzato una buona parte della propria filmografia da "Il processo di Verona" a "Celluloide" passando per "Mussolini ultimo atto".
La necessità di un film come Hotel Meina, non è sicuramente nella volontà di rappresentare il passato per parlare, o mettere in guardia, il presente. Benché come italiani non abbiamo ancora affrontato e superato il nostro novecento (e di duqesto ne paghiamo le conseguenze), nel film non ci sono (e se ci sono, sono molto velati) riferimenti, seppur concettuali, alla nostra realtà politica e sociale. Alla base di questo film c'è quindi il bisogno di non dimenticare. Quella di Meina, infatti, è una storia che solo da poco tempo si è guadagnata un poco di notorietà.
Per raccontarla Lizzani sceglie un linguaggio narrativo che cerca di mettere in primo piano storia e personaggi. Un amore giovanile, la famiglia e il senso di responsabilità: sono su queste direttrici che si muovono le emozioni dei protagonisti e, di riflesso, degli spettatori (con oltretutto un accenno al Manifesto di Ventotene e al futuro spirito europeista dei paesi in guerra). Potrebbe essere un ottimo sceneggiato televisivo (gli manca però la canonica durata delle due puntate), per il cinema rimane un film vedibile, ma avaro di grandi momenti di cinema (come Lizzani è solito fare) se non il faccia a faccia finale fra il maggiore tedesco e la "traditrice" tedesca.

La frase:
"Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
si' qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo."

Andrea D'Addio

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