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Hotel Dajti - Una storia al di là del mare
Ambientato tra la Puglia e l'Albania, "Hotel Dajti" del regista Carmine Fornari, in una Tirana splendente e "mussoliniana" del 1938, racconta una storia d'amore, tra un italiano, mago illusionista appena scritturato al Grand Hotel Dajti, e una giovane ragazza albanese di buona famiglia, Sara, appassionata di magia. Le sequenze iniziali ce li consegnano vecchi, ognuno nel proprio paese. Nel contempo si narra la storia di Pinuccio, un ragazzo poverissimo, che vive di espedienti nel mar Jonio, ricattato da gente senza troppi scrupoli. In una sparatoria tra contrabbandieri, unico superstite, il ragazzo conosce Emir, che gli chiede di cercare Andrea, il mago, affinché la madre adottiva Sara, malatissima, possa salutarlo per l'ultima volta. Il giovane si intrufola nella vita di Andrea che, invecchiato e malato di nostalgia, continua a fare cialtronerie magiche per campare, e diventa suo assistente: Andrea, in continui flashback, fa rivivere tutta la sua storia d'amore con Sara, il loro incontro, il matrimonio, la nascita di Emir, il figlio naturale (lo stesso nome che la donna ha dato al figlio adottato), morto da piccolo, quando col padre scappò da Tirana, lasciando Sara da sola. Pinuccio accetta di accompagnare il vecchio uomo in Albania, alla ricerca dell'amore perduto. Ma il paese slavo del nuovo millennio, dove Andrea ritrova i compagni di un tempo, è ormai un territorio disastrato, economicamente allo sbando, dopo cinquanta anni di comunismo e un'illegalità diffusa, che non lascia presagire niente di buono.
Film lirico, asciutto e senza fronzoli, orgogliosamente "neorealista" negli ambienti sempre vetusti e nelle facce, sbreccate in malinconie di chi è consapevole che il tempo passato è solo uno strazio del cuore; Fornari rende tutto credibile, nonostante gli insistiti flashback appesantiscano l'economia narrativa della pellicola. Straordinari gli interpreti, ossia Piera Degli Esposti, che interpreta Sara anziana, Flavio Bucci, che da ad Andrea un'aria sdrucita e fragile, difficile da dimenticare e il Pinuccio di Francesco Giuffrida sembra il bambino cresciuto di "Ladri di biciclette". Un'opera piccola ed enorme che pur affrontando solo marginalmente i guasti di una immigrazione disperata alla ricerca del paese dei balocchi (l'Italia), è di sorprendente attualità e freschezza. Questo si che è il cinema italiano che ci piace, benché, in modo punitivo, per i soliti problemi di dissennata distribuzione, troverà, ahimè, ben pochi spettatori.
Vincenzo Mazzaccaro
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