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Hooked
Un regista ha a disposizione diversi sistemi per indurre nausea e disgusto in uno spettatore, ad esempio con l’ausilio di effetti speciali sanguinari e repellenti, oppure tramite la presentazione di realtà e situazioni insostenibili. Questi sistemi però sono soggetti ad assuefazione da parte dello spettatore e quindi vengono da questi tollerati sempre di più con il passare del tempo. Esiste però un metodo sicuro per nauseare il pubblico: basta dare all’operatore una telecamera a mano, metterlo in un’automobile in movimento e fare in modo che riproduca con il suo moto incessante le soggettive di conducente e passeggero. In questo modo anche lo stomaco più resistente al mal d’auto sarà presto scosso da attacchi di nausea incontrollabili. Questo deve essere stato probabilmente il pensiero del regista rumeno Adrian Sitaru, che per un malinteso senso di coinvolgimento dello spettatore si affida costantemente all’uso di una soggettiva ubriacante, ricorrendo persino ad accostare bottiglie di birra e filtri di sigaretta all’obiettivo della macchina da presa, come se il pubblico potesse provare in questo modo l’illusione di bere o fumare.
L’argomento è semplice fino all’inverosimile: una coppia in crisi si concede una gita fuori porta e cerca di risolvere le proprie contraddizioni interne. Sitaru però non si lascia scappare l’opportunità di mostrare con occhio cinico e disincantato le contraddizioni e il degrado della Bucarest di oggi, e così vediamo miseria, lavavetri, bambini che si drogano con la colla o chiedono soldi per una lattina di birra, prostitute che si vendono "per un pacchetto di sigarette" (come tiene più volte a specificare) o funzionari pubblici sempre pronti a lasciarsi corrompere.
Tutto sembra filare liscio finché i due non investono una giovane prostituta, che poi li accompagna per il resto della giornata. Il titolo del film letteralmente vuol dire "pesca sportiva", per cui i pesci presi non vengono uccisi ma rilasciati immediatamente nel corso d’acqua dal quale sono stati estratti. In fondo la giovane prostituta inizia un gioco mentale nei confronti dei due fidanzati (che si chiamano Mihai e Mihaila, un pò come dire Michele e Michela), fatto di domande indiscrete, provocazioni sessuali più o meno aperte e ingerenze continue nelle dinamiche interne alla coppia. Il tutto con questa sentenziosa e continua soggettiva al limite della sostenibilità.
Per la verità era piuttosto originale l’idea di una prostituta svampita e dal cuore d’oro (sarebbe piaciuta anche a Fabrizio De Andrè) che propone una sorta di terapia di coppia ai due giovani in crisi, però non esplodono mai conflitti autentici e viscerali, ma tutto rimane sottotono e sottopelle e non riesce a coinvolgere né a convincere appieno. Un peccato: sarebbe stato divertente affermare "rinunciate a terapeuti e sessuologi per i vostri problemi coniugali, e affidatevi alla prostituta", e invece anche questo film viene relegato nella schiera dei vorrei ma non posso.
La frase: "La mia vita vale meno di quella di una prostituta?".
Mauro Corso
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